Sei aziende, 70 tra immobili, terreni e fabbricati, 28 tra auto e moto, e numerosi rapporti finanziari. Vale circa 100 milioni il patrimonio definitivamente confiscato ad Alfonso Letizia, imprenditore del casertano attivo in particolare nel settore della produzione e della vendita del calcestruzzo, nei cui confronti La DIA di Napoli ha notificato il decreto di confisca definitiva. Le indagini svolte dalla DIA, si legge in una nota, “hanno consentito non solo di ricostruire il suo reale assetto patrimoniale, ma anche di delineare la sua ‘pericolosità qualificata’, derivante dai rapporti emersi con il clan dei casalesi, fazione ‘Schiavone’, nel delicato e strategico settore della produzione e fornitura del calcestruzzo”.
Nella relativa inchiesta giudiziaria, infatti, per la quale Alfonso Letizia era stato arrestato dalla DIA nel 2011 – operazione “Il Principe e la (scheda) ballerina” – su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, erano emersi gli intrecci illeciti del ceto politico di Casal di Principe con l’ala militare e imprenditoriale del clan dei casalesi, fazioni “Schiavone” e “Bidognetti”, che si concretizzavano attraverso l’appoggio ai candidati indicati dall’organizzazione in occasione di consultazioni elettorali, in cambio dei successivi benefici economici garantiti dall’aggiudicazione di appalti, di assunzioni di personale compiacente, nonché di apertura di centri commerciali. Nel contesto descritto, prosegue la nota, “il Letizia era considerato il riferimento della famiglia ‘Schiavone’, poiché metteva stabilmente a disposizione dell’organizzazione i propri impianti di produzione del calcestruzzo e le proprie strutture societarie ottenendo, di contro, l’ingresso nel cartello delle aziende oligopoliste che l’associazione imponeva sui cantieri presenti nel mercato casertano. I decreti di sequestro e di confisca emessi dal Tribunale, a seguito della proposta del Direttore della DIA, eseguiti nel 2014 e nel 2018, sono stati confermati dalla Corte di Appello di Napoli e definitivamente dalla Corte Suprema di Cassazione”.