Si è rifatta una vita, ha trovato un lavoro e su facebook appare felice. Il fato sorride a Doina Matei, ma nove anni fa uccise una ragazza nella metro di Roma dopo un litigio. Già nel 2006 era stata arrestata per violazione della Bossi-Fini, la norma sull’immigrazione, senza contare le diverse segnalazioni legate al fatto che facesse il mestiere più antico del mondo. Poi il fattaccio. Era il 26 aprile del 2007 quando Doina Matei, all’epoca ventunenne, conficcò la punta del suo ombrello nell’occhio di Vanessa Russo solo per aver avvertito una spinta della ragazza romana nella stazione della metropolitana di Termini. La romena, originaria di un piccolo paese vicino Bucarest, si giustificò dicendo che non era sua intenzione ucciderla e che si era soltanto difesa. Versione però contrastante con quanto detto da alcuni testimoni, secondo cui la sua fu una reazione “sproporzionata e violenta”. Nel 2008 la Corte di Assise confermò la condanna di 16 anni inflitta in primo grado dal gup Donatella Pavone al termine del giudizio abbreviato. Una vita piena di trasgressioni prima di ‘reinventarsi’.
Oggi, si legge sul ‘Messaggero’, la Matei “è in regime di semilibertà: di giorno lavora in una cooperativa, la sera torna a dormire nel carcere di Venezia. E si è rifatta una vita. Ovviamente anche su Facebook”. Il quotidiano romano, che non svela lo pseudonimo con cui ha aperto una pagina sul social network, pubblica le foto di “quella ragazza che sorride in bikini al mare sopra uno scoglio, che si fa le foto in giro per Venezia, ritratta al laghetto con un bimbo in braccio”. Uno nuovo, presumibilmente, visto che nel 2006 aveva lasciato due piccoli in Romania ai quali mandava i suoi guadagni.
Il legale di Doina, Nino Marazzita, ha commentato la decisione di concedere la semilibertà affermando che la donna ha il diritto di reinserirsi nella società. ”Devo dire che il sistema carcerario ha funzionato bene riportando la pena inflitta a livelli accettabili e proporzionati all’omicidio preterintenzionale e anche calibrandolo sulla figura di Doina e sul dramma che ha vissuto”. Quando il fatto avvenne l’assistita dei Marazzita aveva appena compiuto 18 anni ed aveva un vissuto difficile alle spalle con due figli. Non ci sono dubbi che la sua sia stata una vita difficile e arida, costretta a fuggire dal suo paese e a venire in Italia grazie a un permesso di soggiorno per motivi di salute, con grassi sogni e aspettative, o forse più rassegnazione. Sta di fatto che tutto questo non può giustificare tali reazioni. Ma forse questa volta la pena è riuscita a far cambiare il condannato.
Alessandro Moschini