Dolore sotto chiave

A ridosso delle rappresentazioni in Spagna al Teatre Lliure di Barcellona, giunge dal 10 al 15 marzo al Teatro San Ferdinando lo spettacolo con la regia di Francesco Saponaro, Dolore sotto chiave, due atti unici di Eduardo De Filippo,  Dolore sotto chiave del titolo e Pericolosamente, con un prologo in versi e in lingua napoletana di Raffaele Galiero della novella di Pirandello I pensionati della memoria. In scena, a ricoprire i ruoli dei diversi personaggi, un consolidato trio di interpreti formato da Tony Laudadio, Luciano Saltarelli, Giampiero Schiano. Le scene e i costumi sono di Lino Fiorito; le luci di Cesare Accetta; il suono di Daghi Rondanini; produzione Teatri Uniti – Napoli Teatro Festival Italia in collaborazione con l’Università della Calabria. Con questa messa in scena Francesco Saponaro affronta un Eduardo poco frequentato e meno conosciuto al grande pubblico, che segna il secondo incontro del regista con il teatro eduardiano dopo l’allestimento spagnolo di Yo, el heredero (Io, l’erede).Scritto nel 1958, Dolore sotto chiave va in onda l’anno successivo come radiodramma, con lo stesso Eduardo e la sorella Titina nel ruolo dei protagonisti – i fratelli Rocco e Lucia Capasso. Viene portato in scena due volte con la regia dell’autore: nel 1964, insieme a Il berretto a sonagli di Pirandello, con Regina Bianchi e Franco Parenti, in occasione della riapertura del Teatro San Ferdinando, e nel 1980, insieme a Gennareniello e Sik-Sik, l’artefice magico, con Luca De Filippo e Angelica Ippolito.In Dolore sotto chiave,  scrive nelle note il regista,  i buoni sentimenti come la carità cristiana, la compassione o la mania borghese della beneficenza diventano armi improprie per dissimulare, negli affetti, quella segreta predisposizione dell’essere umano al controllo e al dominio sull’altro. Il tema della morte incombe silenzioso e il dolore del lutto viene nascosto e soffocato da un gioco sottile di ricatti e malintesi, tipici dei contesti familiari. In casa dei fratelli Capasso, un interno borghese dove una camera della morte ha custodito per undici mesi il simulacro del dolore, Dio e i morti sono presenti fino al punto da essere invocati come vere presenze, giudici supremi del bene e del male. Eduardo riesce a intrecciare diversi registri e generi che si inseguono sul filo del cinismo e dell’ironia. La vicenda si colora di risvolti comici, a tratti paradossali carichi di morbosa e grottesca esasperazione. In Dolore sotto chiave viene evocato un oggetto-simbolo, usato come sottile minaccia di suicidio dal povero Rocco Capasso: la rivoltella, che in Pericolosamente si materializza e si trasforma in un vero e proprio strumento di tortura coniugale e rimedio alle bizarrie improvvise di una moglie bisbetica. L’atto unico, dall’apparente fulmineità di uno sketch, grande successo del Teatro Umoristico dei De Filippo, gioca tutto sul classico litigio coniugale. Ogni volta che Dorotea dà sfogo alle sue intemperanze Arturo, per ripristinare l’ordine familiare, impugna la rivoltella caricata a salve e le spara, scatenando la comica reazione di terrore da parte dell’amico Michele appena rientrato a Napoli da un lungo viaggio di lavoro.

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