Domani ‘AVALANCHE’ di Marco D’Agostin, 14 aprile Teatro India di Roma G R A N D I P I A N U R E 2019

G R A N D I P I A N U R E 2019

GLI SPAZI SCONFINATI DELLA DANZA CONTEMPORANEA

UN PROGETTO TEATRO DI ROMA – MIBAC

DIREZIONE ARTISTICA MICHELE DI STEFANO

14 APRILE 2019 | ORE 20.00 | TEATRO INDIA

 

APRE IL GIOVANE AUTORE, GIÀ ALLA RIBALTA DELLA SCENA ESTERA, MARCO D’AGOSTIN CON AVALANCHE

AVALANCHE

di Marco D’Agostin

con Marco D’Agostin,Teresa Silva

suono Pablo Esbert Lilienfeld – luciAbigail Fowler

movement coach Marta Ciappina – vocal coach Melanie Pappenheim – direzione tecnica Paolo Tizianel

Coprodotto da Rencontres Choréographiques Internationales de Seine-Saint-Denis, VAN, Marche Teatro,

CCN de Nantes con il supporto di/supported by O Espaco do Tempo, Centrale Fies, PACT Zollverein,

CSC/OperaEstate Festival, Tanzhaus Zurich, Sala Hiroshima, ResiDance XL

 

 

La danza ritorna protagonista sui palcoscenici dello Stabile Capitolino con la seconda edizione di G R A N D I P I A N U R E 2019, vetrina sulla coreografia contemporanea nazionale e internazionale, che il Teatro di Roma ha affidato per un triennio al curatore Michele Di Stefano, coreografo, performer e fondatore del gruppo mk. Apre il programma di spettacoli, domenica 14 aprile (ore 20) al Teatro India, AVALANCHE del premio UBU 2018 come miglior performer under 35, Marco D’Agostin. Una creazione che, oltre ad essere la testimonianza di un giovane autore già alla ribalta della scena internazionale, offre la possibilità di riflettere sull’ossessione tutta contemporanea dell’accumulo, dell’archivio, dell’elenco di cose e fatti che amplifica a dismisura la percezione del corpo come custode della memoria. InAvalanche i due esseri umani protagonisti vengono osservati da un occhio ciclopico come antiche polveri conservate in un blocco di ghiaccio. Sono Atlanti che camminano all’alba di un nuovo pianeta, dopo essersi caricati sulle spalle la loro millenaria tristezza. Tutto quello che non è sopravvissuto agisce, invisibile, su tutto ciò che invece è rimasto e che viene rievocato come regola, collezione, elenco di possibilità. La danza si pone in una costante tensione verso l’infinito dell’enumerazione, alla ricerca accanita di un esito, di una risoluzione, interrogando la questione del limite e dunque, in ultima istanza, della fine. Gli occhi socchiusi, come a proteggere lo sguardo dalla luce accecante di un colore mai visto, afferrano l’abbaglio di un’estrema possibilità: una terra di sabbia e semi sulla quale qualcuno imparerà nuovamente a muoversi, dopo che anche l’ultimo archivio sarà andato distrutto.

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