Ieri, ‘Progetto Italia News’ ha intervistato il deputato tunisino Mondher Bel HaJ Ali, con il quale si è soffermato sulla ‘Primavera Araba’ che indica una serie di proteste ed agitazioni cominciate tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011. Bel Haj Ali osserva che non ci sia più una primavera araba ma una primavera tunisina. Osserva che la Tunisia ha impegnato le sue risorse non in armamenti, ma le ha impiegate per costruire scuole ed università mirando ad un ‘futuro migliore’ per tutti i tunisini. Non è da poco questo dettaglio è più avanti ne vedremo il perché. In realtà in deputato coglie nel segno perché la ‘Primavera Araba’ nasce in Tunisia con Mohamed Bouazizi che il 18 dicembre del 2010 si diede fuoco in seguito ai maltrattamenti subiti dalla polizia, dando così vita alla ‘Rivoluzione dei gelsomini’, con avvocati, sindacalisti, studenti e disoccupati che scesero in piazza a manifestare.
La situazione si aggravò spingendo il presidente Ben Ali a pronunciare un discorso alla televisione nazionale ‘TV7’ dove promise 300.000 posti di lavoro e l’elevazione del livello di vita. Ben Alì non mostrò alcuna compassione per le vittime degli scontri, dichiarando che le persone negli scontri con le forze dell’ordine erano incolpabili di atti di terrorismo. I sindacati dichiararono sciopero generale e la rivolta continuò nonostante la repressione. Quest’opera di informazione e denuncia istantanea degli abusi ebbe un un ruolo importante nella propagazione dei moti di protesta.
I paesi maggiormente coinvolti dalle sommosse furono la Siria, la Libia, l’Egitto, lo Yemen, l’Algeria, l’Iraq ed altri. I giorni più accesi furono chiamati ‘i giorni della rabbia’. Nel 2011, quattro capi di Stato furono costretti alle dimissioni e alla fuga, e in alcuni casi portati alla morte: in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali (14 gennaio 2011), in Egitto Hosni Mubarak (11 febbraio 2011), in Libia Muhammar Gheddafi che, dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, fu catturato e ucciso dai ribelli il 20 ottobre 2011, e in Yemen Ali Abdullah Saleh.
In Tunisia si arrivò a un cambiamento di governo, identificato come ‘rivoluzione’. I fattori che avavano portato alle proteste sono numerosi e comprendono la corruzione, l’assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani e la mancanza di interesse per le condizioni di vita, che in molti casi rasentano la povertà estrema. In Tunisia la ‘rivoluzione’ ha funzionato perché è stato compreso che era necessario sviluppare una nuova legislazione, e una nuova Costituzione, per realizzare il sogno della rivoluzione che ha come primo punto la sovranità popolare e le libertà individuali. In Tunisia è stata redatta una nuova Costituzione che parte dal suffragio universale, con la decentralizzazione delle funzioni amministrative, e con lo snellimento dell’apparato burocratico.
La Costituzione tunisina del 2014 è la terza Carta fondamentale del Paese, dopo la Costituzione tunisina del 1861 e quella del 1959. Approvata il 26 gennaio 2014 dall’Assemblea costituente, eletta il 23 ottobre 2011 dopo la conclusione della Rivoluzione del Gelsomino che rovesciò il regime dittatoriale di Zine El-Abidine Ben Ali. Entrò in vigore fin dal 10 febbraio 2014 mettendo fine all’attività esplicata dalla Legge sull’organizzazione provvisoria dei poteri pubblici che aveva organizzato transitoriamente i poteri pubblici dopo la sospensione della Costituzione del 1959.
La Costituzione è stato il frutto d’un compromesso tra il partito islamista Ennahda (che era alla guida del governo) e le forze dell’opposizione. Essa prevede un esecutivo bicefalo, accorda un posto politicamente contenuto all’Islam e, per la prima volta, nella storia giuridica del mondo arabo e introduce la parità uomo-donna nelle assemblee elettive. La Costituzione si compone di 149 articoli, organizzati in 10 capitoli e preceduti da un preambolo che richiama l’origine rivoluzionaria del testo ed esprime i valori su cui si fonda il nuovo ordinamento costituzionale: fra questi si evidenziano, in particolare, l’appartenenza identitaria all’Islam e il rispetto dei principi cardine del costituzionalismo democratico, quali l’uguaglianza tra i cittadini, la separazione dei poteri, la sovranità popolare e la tutela dei diritti umani.
La convivenza dell’Islam con i principi liberal-democratici viene rimarcata anche nelle prime due disposizioni costituzionali: secondo l’art. 1, infatti, ‘La Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano; la sua religione è l’Islam, la sua lingua l’arabo e il suo regime la Repubblica’, mentre l’art. 2 sancisce che ‘La Tunisia è uno Stato civile basato sulla cittadinanza, la volontà popolare e lo Stato di diritto’.
La previsione normativa di un esecutivo dualista, costituito da un Governo presieduto da un Primo ministro e dal Presidente della Repubblica (art. 71) rappresenta quindi una scelta adottata per mediare fra questi due orientamenti. Il potere legislativo è invece assegnato dalla Costituzione all’Assemblea dei rappresentanti del popolo, eletta a suffragio universale, libero, segreto, diretto, onesto e trasparente, conformemente a quanto stabilito dalla legge elettorale (art. 55). I costituenti hanno inoltre dedicato un intero capitolo, il VII (artt.131- 142), agli enti locali. Lo spazio attribuito al decentramento nel nuovo testo costituzionale rappresenta un segno di forte rottura con la precedente Costituzione del 1959, la quale esauriva il tema in un solo articolo. Tale attenzione riflette la consapevolezza del profondo nesso tra democrazia e decentramento e risponde alla volontà di risolvere i problemi derivanti dai forti squilibri esistenti tra le diverse aree del Paese e al desiderio di creare una democrazia stabile.
Uno dei punti di maggiore novità e rilevanza della nuova Costituzione tunisina è rappresentato dal fatto che l’intero processo costituente è stato accompagnato da un forte desiderio di partecipazione popolare, costituendo il culmine della ‘rivoluzione dei gelsomini’ che ha rappresentato il momento di avvio della democratizzazione tunisina.
L’approvazione della nuova Costituzione non rappresenta però la tappa finale del processo di transizione costituzionale: ora si apre la difficile fase dell’attuazione delle norme programmatiche e del consolidamento dei principi costituzionali.
Sarà necessario un certo periodo di attesa per valutare l’effettività del nuovo testo costituzionale, ma per il momento non si può ignorare che un piccolo Paese della sponda sud del Mediterraneo ha attirato su di sé l’attenzione del mondo intero, per le capacità dimostrate nell’intraprendere un difficile percorso di democratizzazione e nel porre le fondamenta di un nuovo ordinamento costituzionale.
La nuova Costituzione, come si vede, è un compromesso politico tra partiti laici e islamisti, con libere elezioni che sono state considerate un esempio da seguire per la transizione in un’area dove la volontà delle armi è stata spesso più forte di quella delle urne. Al progresso politico, tuttavia, non è corrisposto un miglioramento economico. A causa di una crescita debole e di minori investimenti, nel 2015 il tasso di disoccupazione è salito al 15,3 per cento (dal 12% del 2010).
Con l’aumento del numero degli studenti, un terzo dei tunisini senza lavoro è costituito da laureati. Mohamed Bouazizi era un laureato che per sopravvivere doveva vendere frutta e verdura per strada. La Tunisia, a seguito della transizione, sta scrivendo e votando in questo momento alcune leggi improntate allo sviluppo economico del Paese.
Lo scopo è di migliorare le condizioni di vita. La Tunisia è oggi un cantiere in pieno sviluppo che cerca partner commerciali in altri paesi per fare ripartire in modo completo l’economia. Economia che dovrà offrire sviluppo e posti di lavoro ‘qualificati’ con laureati che non dovranno più vendere frutta e verdura per strada.
Oggi ci sarà in Italia la visita di Beji Caid Essebsi, presidente della Repubblica tunisina, per incontri istituzionali. Il presidente incontrerà anche esponenti di rilevo del mondo industriale e commerciale.
Roberto Cristiano