Non sarà una passeggiata salutare per il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, la sua designazione da parte della premier italiana, Giorgia Meloni, a commissario europeo nel nuovo esecutivo di Ursula von der Leyen, visto che questa realtà è stata indigesta per qualche rappresentante della maggioranza europea che sosterrà la nuova Commissione. Nessuna obiezione sulle competenze che tutti riconoscono a Fitto sui temi europei ma forti perplessità che riguardano l’assegnazione, oltre al portafoglio degli Affari economici, dell’incarico di vicepresidente esecutivo. Se così fosse sarebbe l’unico tra i 5 vicepresidenti Ue oltre alla nuova Alta rappresentante per la politica estera Kallas a provenire non dai gruppi di maggioranza (Ppe, Socialisti e liberali) ma dai conservatori dell’Ecr. Una possibile soluzione di compromesso che potrebbe essere accettata dai liberali sarebbe quella di depotenziare le vicepresidenze esecutive e metterle tutte e sei allo stesso livello.
Sta di fatto che oggi, mercoledì 11 settembre, la von der Leyen presenterà i nomi e i portafogli definitivi dei singoli commissari ai presidenti dei gruppi del Parlamento europeo. A Fitto andrebbe quindi il portafoglio dell’economia, coesione e ripresa post pandemica dando così al nostro Paese una precisa responsabilità anche nell’assegnazione di un pezzo importante del budget europeo. Poi da ottobre inizieranno le audizioni dei singoli commissari con una novità introdotta dall’art 129 del regolamento dell’Europarlamento che assegna ai singoli eurodeputati il potere di entrare anche nel merito dei singoli portafogli, potere che neppure i parlamenti nazionali hanno potendo solo dare o meno la fiducia all’intero esecutivo. Nell’audizione di ottobre a Fitto non mancheranno certo domande che potrebbero metterlo in qualche imbarazzo. Ad esempio, se gli chiederanno la sua posizione sui sussidi all’Ungheria che non rispetta i principi dello Stato di diritto oppure se è d’accordo o meno sul fatto che il Next Generation Ue debba essere prorogato oltre il 2026 come chiede l’Italia contro la posizione di Bruxelles.
La designazione di Fitto si inserisce nel grande puzzle della nuova Commissione. Nessun nome e nessun portafoglio sono al momento scritti nella pietra ma alcuni punti fermi possono essere già individuati. Il francese Thierry Breton sarà vicepresidente per industria e autonomia strategica. Il lettone Valdis Dombrovskis sarà vicepresidente per l’allargamento e la ricostruzione dell’Ucraina. Lo slovacco Maros Sefcovic vicepresidente per l’amministrazione, semplificazione e relazioni interistituzionali, la spagnola Teresa Ribeira vicepresidente per la transizione green e digitale ma la sua postura fortemente antinucleare la potrebbero spostare a un portafoglio anche di maggior peso, quello della concorrenza. All’austriaco Magnus Brunner dovrebbe andare il portafoglio dei servizi finanziari ma Brunner è anche l’unico possibile candidato per l’ambito portafoglio della concorrenza. L’ex ministra degli Ester belga, Hadja Lahbib dovrebbe avere il portafoglio per gli affari interni mentre alla bulgara Ekaterina Zaharieva andrebbe il portafoglio per la gestione delle crisi e gli aiuti umanitari. Al greco Apostolos Tzitzikostas andranno i trasporti e al danese Dan Jørgensen potrebbe essere assegnato il portafoglio dei cambiamenti climatici, separato però dalle responsabilità energetiche o ambientali. La rumena Roxana Mînzatu, candidata socialista, potrebbe ricevere un portafoglio economico, probabile ricompensa per la decisione del suo governo di nominare una donna. Il lituano Andrius Kubilius potrebbe prendere il portafoglio della sicurezza, rafforzando l’influenza baltica sulla politica estera e rafforzando la posizione anti-russa della Ue insieme a Kallas. L’agricoltura rimarrà probabilmente sotto il controllo del PPE, con Christophe Hansen del Lussemburgo o Maria Luisa Albuquerque del Portogallo. Quanto all’Ungheria che fino alla fine dell’anno avrà la presidenza di turno dell’Unione la scelta del primo ministro ungherese Viktor Orbán di confermare il commissario in carica Oliver Varhelyi, sarà probabilmente respinta dal Parlamento europeo. In quel caso una seconda scelta potrebbe cadere sull’euorodeputata Fidesz Enikő Győri aiutando così von der Leyen nel rispetto della parità di genere.
La nuova squadra di governo che Ursula von der Leyen presenterà dovrà essere vagliata da Parlamento europeo e ci si attende uno scrutinio approfondito nelle audizioni dei membri dell’esecutivo o, se volete, Collegio dei Commissari europei.
Ognuno dei 26 nominati dai Paesi membri sarà sottoposto a un esame che può riguardare vari temi, dalle opinioni sensibili a questioni di lealtà nei confronti del progetto europeo.
Chi tra i potenziali candidati potrebbe non passare l’esame degli eurodeputati e perché?
Oliver Várhelyi, candidato ungherese a Commissario europeo European Union, 2024.
Quando Viktor Orbán ha scelto Olivér Várhelyi come candidato ungherese a Commissario europeo, la reazione immediata in Parlamento è stata “non se ne parla”.
Il mandato di Várhelyi come Commissario per il vicinato e l’allargamento è stato controverso e ha visto ripetuti scontri con gli eurodeputati, che lo hanno accusato di trascurare la linea ufficiale dell’Ue e di agire come un inviato del governo di Orbán.
Várhelyi è il candidato più probabile ad essere respinto, dal momento che nessuno dei partiti centristi sembra disposto a sostenerlo. A Bruxelles si ipotizza già che Enikő Győri, un eurodeputato di Fidesz, sia in attesa di essere sostituito.
Hadja Lahbib avrebbe tutte le carte in regola per diventare commissaria: attualmente è ministra degli Affari esteri del Belgio e ha svolto un ruolo di primo piano nella presidenza del Consiglio dell’Ue del Paese da gennaio a giugno 2023.
Ma il background di Lahbib potrebbe fare riflettere alcuni legislatori. Nel luglio 2021, infatti, mentre lavorava come giornalista, Lahbib ha partecipato a un viaggio stampa nella Crimea occupata organizzato da “Russian Seasons”, un’iniziativa di propaganda legata al governo, e ha partecipato al festival “Global Values”.
Maroš Šefčovič, candidato della Slovacchia a Commissario europeo European Union, 2024.
Il 58enne slovacco, noto per le sue cravatte colorate e il suo sorriso facile, è stato Commissario europeo ininterrottamente dal 2009 e, se riconfermato, potrebbe detenere il record di quattro mandati consecutivi.
La Slovacchia si trova in rotta di collisione con Bruxelles: il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione molto critica e la Commissione europea ha avvertito che potrebbe sospendere i fondi Ue se le leggi controverse entrassero in vigore.
Lo Smer, il partito di Fico e Šefčovič, è stato espulso dal gruppo parlamentare Socialisti e Democratici (S&D). Tuttavia, entrambi rimangono nel Partito dei socialisti europei (Pse), il partito paneuropeo. Questa strana situazione – metà dentro e metà fuori – incide significativamente sul sostegno a Šefčovič e potrebbe diventare un peso se i conservatori cogliessero l’occasione per farlo cadere.
Teresa Ribera, candidata spagnola a Commissaria europea Virginia
La carriera di Teresa Ribera è stata dedicata alla lotta al cambiamento climatico, alla protezione della biodiversità e alla promozione dello sviluppo sostenibile, ricoprendo diversi incarichi presso le Nazioni Unite, il Forum economico mondiale e l’Istituto per lo sviluppo sostenibile e le relazioni internazionali di Parigi.
Sebbene sembri perfettamente adatta a ricoprire una posizione di vertice nella prossima Commissione, un dettaglio fondamentale potrebbe far deragliare le sue aspirazioni europee: l’energia nucleare.
Ribera non ha nascosto il suo scetticismo nei confronti del nucleare, una tecnologia a basse emissioni di carbonio che comporta notevoli preoccupazioni per l’estrazione dell’uranio, i rischi per la sicurezza, le scorie radioattive e i costi elevati.
Apostolos Tzitzikostas (Grecia): no ad accordo su Macedonia
L’importante accordo di Prespa del 2018, che ha risolto la decennale disputa tra la Grecia, uno Stato membro, e la Macedonia del Nord, un Paese candidato, è considerato un’impresa diplomatica a Bruxelles.
Perciò il fatto che Apostolos Tzitzikostas, il commissario scelto dalla Grecia, lo abbia definito “dannoso ed estremamente pericoloso” per gli interessi nazionali, è destinato a sollevare dubbi in vista della sua audizione di conferma.
In qualità di governatore della Macedonia centrale, carica che ricopre dal 2013, Tzitzikostas è stato in prima linea nella campagna per far deragliare la ratifica dell’accordo, che include il riconoscimento della lingua e della cittadinanza macedone, sostenendo che il testo violi la storia e l’identità dell’omonima regione greca.
Ha chiesto al governo di indire un referendum sul testo proposto (che non ha mai avuto luogo) e si è rifiutato di cambiare la segnaletica stradale da “Skopje” a “Macedonia del Nord”.
Inoltre, Tzitzikostas potrebbe dover affrontare domande scomode sulla sua posizione su varie questioni sociali, come i diritti LGBTQ+ e sulla controversa decisione nel 2013 di invitare funzionari del partito di estrema destra Alba Dorata a partecipare alle commemorazioni annuali della resistenza antinazista della Grecia.
Tuttavia, la sua candidatura è fortemente sostenuta dal primo ministro Kyriakos Mitsotakis, uno dei membri più importanti del Partito Popolare Europeo (Ppe) e stretto alleato di Ursula von der Leyen.
Gli altri commissari in forse da Thierry Breton a Kaja Kallas
Thierry Breton, candidato francese alla nuova Commissione e commissario uscente, e Kaja Kallas, ex premier estone nominata Alta rappresentante Ue per la politlica estera European Union, 2024.
Thierry Breton sarà probabilmente torchiato per la sua inaspettata sfuriata contro il Ppe e la campagna per la rielezione di von der Leyen, che ha sollevato questioni etiche, e per la sua lettera critica in vista dell’intervista di Elon Musk a Donald Trump, che secondo i detrattori avrebbe violato la libertà di parola. I conservatori potrebbero facilmente cogliere l’occasione per opporsi.
I liberali potrebbero a loro volta vendicarsi chiedendo all’olandese Wopke Hoekstra di spiegare (di nuovo) la sua passata associazione con Shell, una multinazionale che è diventata sinonimo di inquinamento.
Maria Luís Albuquerque potrebbe invece essere contestata per il suo ruolo nelle politiche di austerità del Portogallo e nella privatizzazione della Tap, una compagnia aerea nazionale, durante il suo mandato di ministro delle Finanze. L’operazione Tap è sotto esame per possibili irregolarità.
L’estone Kaja Kallas, candidata a diventare il massimo diplomatico dell’Ue, sarà probabilmente interrogata sulla partecipazione del marito in una società di logistica che ha continuato le consegne alla Russia dopo l’inizio della guerra in Ucraina.
L’irlandese Michael McGrath potrebbe essere contestato per la sua passata opposizione al referendum del 2018 che ha legalizzato l’aborto e sul controverso regime fiscale del suo Paese.
E il maltese Glenn Micallef potrebbe avere un momento difficile nell’emiciclo a causa della sua evidente mancanza di esperienza politica. La massima posizione che il 35enne ha ricoperto è quella di capo dello staff del Primo Ministro Robert Abela, ben lontana dalla “competenza esecutiva” richiesta da Ursula von der Leyen.