Donald Trump, il tycoon di New York, diventa il nuovo comandante in capo dell’unica super potenza rimasta al mondo. Il presidente americano Barack Obama si è congratulato con lui per la sua vittoria alle elezioni e lo ha invitato alla Casa Bianca oggi. La profonda crisi economica, diventata prima crisi sociale e poi crisi culturale e di identità, produce una pagina di storia che lascerà il segno e che cambierà i destini degli Stati Uniti e, di conseguenza, del mondo intero che vive sulla propria pelle le conseguenze di una globalizzazione che ha spazzato via la classe media occidentale. Trump diventa presidente degli Usa grazie ai voti di chi si sente escluso dalla società e ritiene di non aver trovato risposte adeguate dalla politica tradizionale, e di chi, nel Paese delle opportunità e del ‘sogno americano’, non riesce più a intravedere una strada per il futuro. In America sono stati i colletti blu e gli operai della ‘rust belt’, in buona parte senza più un lavoro, ma anche cittadini stanchi e disorientati da un ripresa economica che non incide in maniera significativa nelle loro vite a decidere la vittoria di Trump. Sono gli uomini e le donne che si sono sentiti dimenticati e trascurati dalla campagna elettorale della candidata democratica. Al contrario, Trump ha attraversato in lungo e in largo proprio quegli Stati dove la crisi economica morde ancora e dove l’inquietudine e la rabbia sono i sentimenti più diffusi nei confronti della politica. Trump dovrà valutare in quale modo mantenere le tante promesse fatte durante la campagna elettorale. Alcune sembrano irrealizzabili, ma se la Brexit e le elezioni americane insegnano qualcosa è che il mondo ha cambiato tempi e velocità, ed oggi quello che sembrava impossibile non lo è più. Le uscite di Trump, che all’inizio erano considerate un potenziale punto debole della sua candidatura, gli hanno permesso di ottenere l’attenzione costante dei mezzi d’informazione e soprattutto milioni di voti. Trump ha capito che le persone non distolgono mai lo sguardo quando vedono qualcuno che rompe un tabù. Ancora più potente è stata l’emozione che Trump ha suscitato nelle persone che hanno assistito ai suoi eventi, e in quelle che lo hanno guardato in tv, quando ha messo in discussione le regole del gioco. È il segno che un outsider, un ribelle non legato al vecchio ordine era arrivato ed era pronto a distruggere tutto per costruire qualcosa di completamente nuovo. Per i sostenitori irriducibili di Trump i veri bugiardi sono quelli che fanno parte dell’establishment, cioè le élite che controllano i mezzi d’informazione e la politica, e che mentono al popolo da almeno vent’anni. Così, quando quelle stesse élite accusano Trump di essere un bugiardo, i suoi sostenitori non ci credono o semplicemente non la considerano una cosa importante. La rabbia di questi elettori Trump la ha cavalcata abilmente, al di là dei singoli partiti o dell’attuale situazione economica, ed è stato la valvola di sfogo di un’indignazione che investe l’intero sistema politico americano. L’elezione di Trump corrisponde al rifiuto del sistema politico nella sua forma attuale. I nuovi populisti non dicono semplicemente che il partito al governo ha fallito e che è arrivato il momento dell’opposizione, ma dicono che l’intero sistema è compromesso. È per questo che Trump ha inveito contro i repubblicani con la stessa foga che ha usato contro i democratici dimostrando, al contempo, di voler rompere in modo totale con un sistema fallimentare. Tutto questo ha funzionato ancora meglio con quegli elettori che non solo sono d’accordo con il suo messaggio ma che lo hanno interiorizzato, perché descrive la realtà della loro esperienza di vita. La più evidente delusione riguarda l’aspetto economico. Da quasi vent’anni, e da prima ancora secondo alcune stime, i salari reali di questa fascia della popolazione sono fermi o addirittura diminuiscono. Mentre l’economia è cresciuta, anche se in modo incostante, e i ricchi sono diventati ancora più ricchi, il potere d’acquisto e il tenore di vita di questi lavoratori sono rimasti fermi. Anzi, tra il 1998 e il 2013 negli Stati Uniti il reddito mediano netto è sceso per tutti i gruppi tranne uno: il 10 per cento più ricco. Nello stesso periodo il reddito netto della classe lavoratrice è diminuito di un impressionante 53 per cento. Nel frattempo, il 10 per cento più ricco si è arricchito del 75 per cento. Tutto questo è vissuto come un tradimento della grande promessa americana: lavora sodo, rispetta le regole e avrai una vita confortevole. Spremuti economicamente, circondati da un mondo sempre più irriconoscibile, questi elettori si sono convinti che entrambi i partiti abbiano fallito, e con loro tutto il sistema. Quindi è normale che si sono rivolti a qualcuno che è totalmente estraneo al sistema e che promette di mandarlo in frantumi. Questa rabbia contro il sistema, e la convinzione che la democrazia non abbia rispettato i patti con i cittadini, e che il sistema chiamato con quel nome non sia più davvero democratico, ha alimentato non solo il fenomeno Trump ma anche quelli di molti movimenti populisti che stanno scuotendo il mondo. Trump si è presentato come la soluzione a tutti i problemi, l’uomo forte capace di spazzare via la burocrazia e la complessità, e migliorare le cose, anche a costo di usare le maniere forti, anche nell’impegno ad andare ben oltre il waterboarding contro i sospetti terroristi; nel definire la convenzione di Ginevra un problema da eliminare; nel fatto di non escludere un attacco nucleare in Medio Oriente o in Europa; nella noncurante ignoranza della costituzione degli Stati Uniti, con la convinzione che i vertici delle forze armate faranno quello che dice lui, a prescindere dalla legge. Nel 2011 il World values survey, un progetto di ricerca che analizza i valori delle persone su scala mondiale, ha rilevato un dato significativo: ‘Il 34 per cento degli statunitensi era favorevole a un leader forte che non debba preoccuparsi del congresso o delle elezioni. Tra gli intervistati che avevano al massimo un diploma di scuola superiore la percentuale saliva al 42 per cento’. Lo studio ha concluso che il 44 per cento degli statunitensi bianchi è su posizioni autoritarie, e il 19 per cento addirittura su posizioni molto autoritarie. Il miglior indicatore del sostegno a Trump è stato proprio l’autoritarismo. Mi impegno ad essere il presidente di tutti gli americani, ha esordito Trump dal palco del quartier generale repubblicano a New York, che ha poi promesso: ‘I dimenticati di questo Paese non lo saranno più. Dobbiamo riprendere il destino del nostro Paese, abbiamo tanti sogni e li rivogliamo indietro. Raddoppieremo la crescita economica e terremo sempre al primo posto gli americani, ma andremo d’accordo con tutti. Cercheremo il dialogo, non lo scontro. Vi prometto che faremo un eccellente lavoro, inizieremo subito a lavorare. Sarete fieri del vostro presidente’. Trump ha voluto celebrare la vittoria anche sui social network, commentando con un tweet l’elezione: ‘Una serata bellissima e importante! Gli uomini e le donne dimenticati non saranno mai più dimenticati. Saremo uniti come mai prima d’ora’. A questo punto non resta che aspettare di vederlo all’opera per valutare se, nonostante le resistenze che sicuramente incontrerà, riuscirà a mantenere e rispettare nella pratica i suoi intenti e le sue promesse.
Roberto Cristiano