Una contraddizione tutta italiana è il cosiddetto furto generazionale figlio di riforme illogiche quanto miopi, con cui si sono protette posizioni già consolidate, lasciando in balia di un futuro incerto un’intera generazione di giovani affetti tutti o quasi da una malattia che sembrava debellata, l’emigrazione forzata accompagnata da depressione congenita. Occorre che il nuovo esecutivo ponga mano ad una seria riforma delle leggi in materia di pensioni che ha protetto solo i lavoratori che avevano maturato un certo numero di contributi, scaricando i loro effetti sulle generazioni future e per fare ciò bisogna eliminare quella sperequazione legislativa che ha dato vita a due categorie di lavoratori: il mercato degli intoccabili e quello, purtroppo, degli sfortunati. Fino ad oggi nessun partito sembra si sia reso conto di questa situazione che si è venuta a creare negli ultimi vent’anni ossia sotto l’egida della cosiddetta seconda Repubblica. Si continua a parlare di norme per il futuro delle nuove generazioni senza rendersi conto di un presente segnato da profonde divisioni nel mondo del lavoro e tra quest’ultimo ed il mondo delle imprese. Si è finito così per mortificare nei giovani quella spinta emotiva a dotarsi di una buona istruzione, di crearsi una famiglia, di concorrere in modo democratico alla crescita del Paese, li si è costretti ad emigrare in altri paesi alla ricerca di quella realizzazione umana e professionale non più possibile nella terra d’origine. La seconda contraddizione che genera costantemente la crisi e con essa il declino del Bel Paese è il patto sottoscritto senza condizioni di favore con l’Europa sotto dettatura teutonica, che ci ha condotto ad una crisi recessiva senza precedenti e che gli elettori hanno sonoramente bocciato con il voto del 24 e 25 febbraio scorso. Non è un caso che il Premier appena ricevuto dal Capo dello Stato l’incarico di formare il Governo ha dichiarato che il suo primo compito da assolvere sarà quello di riaprire il confronto con l’Europa per rivedere il patto di stabilità,tutto improntato all’austerità sic et simpliciter generatrice inesorabile di una netta riduzione dei consumi interni ed accompagnata da una pressione fiscale senza precedenti. Riaprire il confronto con l’Europa, per il nostro Governo,dovrà anche significare metterne in discussione le premesse fondative: riconoscere che paesi con politiche fiscali diverse,con costi del lavoro differenti,hanno generato le distanze tra le economie,con l’effetto che quelle più forti hanno consolidato la loro egemonia a danno delle più deboli. Un paese come l’Italia per costringere i burocrati dell’Eurozona a sedersi ad un tavolo di trattative, dovrebbe usare la strategia della minaccia di uscita dall’euro,affrontando però in modo oculato un’eventuale reazione dei mercati che potrebbero reagire molto negativamente,anche se si potrebbe nel contempo costringere la Germania ad attenuare il suo atteggiamento dispotico terrorizzata dal fatto che la prima mossa di rottura con l’eurozona possa venire da un’economia sostanzialmente forte qual’è l’Italia. A questo punto sedersi ad un unico tavolo per la costruzione di un’Europa che si fondi su politiche economiche e sociali uniche per procedere così al risanamento delle economie più deboli. Ma per procedere a ciò occorre che l’Italia si presenti con una veste diversa, come un Paese virtuoso che ha proceduto a tutte quelle riforme strutturali ed organizzative al pari dei Paesi più avanzati. Un paese che parli la lingua della modernità e che guardi ai suoi giovani come una risorsa e non come un problema, solo così potrà fare la voce grossa in Eurolandia e difendere i suoi interessi. Queste dovrebbero essere le due sfide dell’esecutivo Letta,detto anche Governo delle larghe intese.