Raffaele Cantone, presidente dell'ANAC, durante la presentazione del terzo rapporto annuale sul Whistleblowing, Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, Roma, 28 giugno 2018. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Dossieraggio e il procuratore Raffaele Cantone: ‘Un verminaio. Appalti, dossier, spionaggio militare’

Un “verminaio”. Parole pesantissime quelle pronunciate dal procuratore di Perugia Raffaele Cantone nella sua lunghissima audizione, circa tre ore, davanti alla Commissione parlamentare Antimafia sullo scandalo dossieraggio. Parole  che destano sconcerto per un fenomeno molto più grave ed esteso di quanto emerso finora.

È un mondo rovesciato quello in cui si muove la mano seriale del tenente Pasquale Striano. Forse  Striano aveva qualche sponda più in alto o da qualche parte negli apparati dello Stato? Forse, agganci fra le alte linee dell’intelligence.

Conviene riflettere su quel che accadeva dietro le quinte, dove si muovono agenti ed emissari con disegni ben precisi, nel giorno in cui Giovanni Melillo e Raffaele Cantone, due fra i più autorevoli magistrati del nostro Paese, sfilano davanti al Copasir e il tema della sicurezza nazionale scala le posizioni nell’agenda politica. Del resto, il procuratore nazionale antimafia è stato netto: «Per la mia esperienza non credo che Striano abbia fatto tutto da solo».

Cantone,  è stato ringraziato dalla presidente dell’Antimafia, Chiara Colosimo, per la scelta “di trasparenza di venire qui a dire tutto quello che si poteva dire”.

Senz’altro il tenente, giocando sulla questione delle consulenze ritenute incompatibili, convogliava altri interessi, difficili da mettere a fuoco, ma assai corposi. Appalti. Dossier. Spionaggio militare. Rapporti di forza fra i partner. E qua da noi, poi, fra i militari e nei Servizi nomine e promozioni che sono sempre attuali, anche in queste ore, con l’imminente conclusione a fine aprile del mandato del generale Mario Parente all’Aisi.

«Si parla di dossieraggi, hackeraggi, sputtanamenti. Non c’è stato nulla di tutto questo. Il dossieraggio è quando tieni i segreti da parte per ricattare qualcuno, qui non c’è nessuno spionaggio». Ospite di Otto e Mezzo su La7, Marco Travaglio interviene sulla vicenda dell’inchiesta di Perugia, sulle centinaia di accessi alle banche dati che hanno riguardato politici e vip su cui indaga la Procura di Perugia. Per ora, sostiene il giornalista, «abbiamo solo le carte della Procura di Perugia, con delle ipotesi di reato, sugli accessi alla banca dati Sos del finanziere Striano su commissione di tre giornalisti di un quotidiano nazionale per andare a cerca informazioni a strascico a proposito di centinaia di politici e persone note». Ma, sottolinea il direttore de il Fatto Quotidiano, «poi i giornalisti hanno usato queste informazioni per fare inchieste giornalistiche e pubblicare, non per ricattare qualcuno». Travaglio non ritiene plausibile neanche l’ipotesi che alla base degli accessi ci fosse il tentativo di screditare i membri del governo o della maggioranza. «È uno strano complotto contro il governo quello delle incursioni nelle banche dati del finanziere», ironizza il giornalista, «tra le ricerche, c’è un solo presidente del Consiglio in carica controllato tramite i suoi familiari e amici: è Giuseppe Conte, l’unico presidente in carica al momento degli accessi. Quindi non vedo perché dovrebbe essere un complotto per far cadere il governo di destra. Poi c’è Matteo Renzi, mentre praticamente tutti quelli del centrodestra sono stati controllati prima di entrare in carica».  Travaglio ridimensiona anche la portata delle informazioni pervenute ai giornalisti tramite le ricerche del finanziere. «Le notizie uscite da quelle banche dati hanno valore zero. Ci ricordiamo uno scoop uscito da quegli accessi?», chiede in maniera retorica, e quando Lilli Gruber fa il nome del ministro della Difesa Crosetto, il giornalista replica: «Crosetto? No, sono uscite notizie che erano già stranote, che faceva il consulente per Leonardo. Era notizia già nota».

Ricordiamo che il primo a denunciare il cosiddetto dossieraggio è stato Guido Crosetto. Chi voleva abbattere il ministro della difesa? Chi lo aveva messo nel mirino, trasformandolo in target, in quei cruciali giorni di fine ottobre 2022? Gli articoli del Domani escono in un momento drammatico: il governo Meloni è appena nato, fra pregiudizi e anatemi sul ritorno del Fascismo, e l’Europa assiste, con un imponente sforzo bellico, la resistenza dell’Ucraina.

La puntigliosa e denuncia di Crosetto fa capire che a Palazzo Chigi avevano percepito lo spessore dell’attacco. Striano, l’ufficiale «incursore», ci offre una prima risposta. Ma solo quella. Qualcuno, facile pensare con un profilo da 007, spingeva perché certe notizie avvelenate uscissero dalle loro blindature per atterrare sulle prime pagine dei quotidiani. Striano ha digitato la password. Qualcun altro ha provato a buttare giù Crosetto.

Fratelli d’Italia punta l’indice sulla gravità di quanto emerso, sulla necessità di fare chiarezza e accertare i mandanti.  Si parla di “scenario orwelliano, inaccettabile in una democrazia occidentale”. Parola del senatore Sandro Sisler, componente la commissione Antimafia, per il quale “è poco credibile che le condotte illecite, ben più numerose di quelle oggi note, siano frutto di una iniziativa individuale. Non ci fermeremo fino a quando non avremo scoperto i mandanti e i loro obiettivi”.

Fabio Rampelli sulla sua pagina Facebook procede per punti. “Primo: trovare i mandanti e sbatterli in galera. Secondo: togliere la toga e la divisa ai servitori infedeli dello Stato. Terzo: chiedere ai 4 giornalisti di svelare il segreto professionale, in base agli articoli 200 e 204 del codice di procedura penale e rintracciare i msg cancellati tra loro e Striano. Quarto: demansionare i giudici che utilizzano il loro potere per perseguire finalità politiche destabilizzatrici delle istituzioni. Quinto: demansionare tutte le persone in divisa che utilizzano il loro potere per perseguire finalità politiche destabilizzatrici delle istituzioni”.  E dire – aggiunge Rampelli polemico – “che hanno avuto la faccia tosta di criticare i provvedimenti del governo per razionalizzare le intercettazioni. Bisogna agire immediatamente per ripristinare le libertà del cittadino conculcate da sceriffi e giudici dell’anti-Stato”.

Maria Cristina Caretta, deputata di Fratelli d’Italia, accende i riflettori sulla distinzione tra libertà di stampa e attività di dossieraggio. “Stanno emergendo atti gravissimi sulle cui responsabilità occorre fare chiarezza in tempi rapidi. Non stiamo parlando di violazione della privacy delle persone, che sarebbe già di per sé un atto grave, ma di concreti attentati ai valori fondanti della democrazia, sui cui autori e mandanti non bisogna lasciare nessuna zona d’ombra”.

Giorgia Melonitorna sull’affaire dossieraggio osservando che «ci sono alcuni funzionari dello Stato, pagati con i soldi dei cittadini, che accedono a banche dati sensibili, che dovrebbero essere usate per combattere la mafia, per passare informazioni sensibili su politici considerati non amici ad alcuni giornali». A Dritto e rovescio su Rete4, la presidente del Consiglio punta il dito aggiungendo che ciò sarebbe stato convogliato «particolarmente a quello di De Benedetti, tessera numero 1 del Pd – sottolinea – e alcune, ho letto oggi, anche all’attuale responsabile Comunicazione del Pd». La vicenda del presunto dossieraggio «è molto brutta». «Sono metodi che si usano nei regimi, è una cosa gravissima, penso più ampia di quanto stiamo vedendo. Dobbiamo sapere per quali interessi sia stato fatto. Si deve andare fino in fondo, serve capire chi sono i mandanti, conoscerne nome e cognome. Sorprende che qualcuno difenda quanto è accaduto trincerandosi dietro la libertà di stampa».

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