Le acque internazionali sono agitate e il clima diplomatico surriscaldato. Le parole del nostro Presidente del Consiglio nei confronti del Presidente turco, Erdogan, non esprimevano solo biasimo per il trattamento irriguardoso riservato al Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, ma c’era un implicito riferimento alla questione libica. Draghi, nei giorni scorsi si è recato in Libia per cercare di riannodare i legami alquanto logori con un Paese, le cui sorti si vanno ad intersecare con molti nostri interessi nazionali: rifornimenti energetici, flussi migratori, presenza di aziende italiane sul territorio, contrasto al terrorismo e sicurezza militare. La Libia che sembra essere divisa a metà tra turchi e mercenari russi, che hanno partecipato alla guerra tra Tripoli e Cirene. E l’Italia è impegnata a rafforzare la nascita del nuovo governo di unità nazionale, il cui successo farebbe venir meno gli appetiti di russi e turchi, la cui presenza oggi inevitabilmente impedisce l’unità del Paese. Il tentativo di Draghi è necessario quanto difficile, ma va perseguito perché la presenza dei turchi e dei russi nel Mediterraneo costituisce una minaccia alla sicurezza non solo dell’Italia ma dell’intera Europa. E’ ovvio che noi possiamo offrire alla Libia una cooperazione economica e non militare e spesso questo non basta a sconfiggere la posizione di chi ha soldati sul territorio. Le parole di Draghi verso Erdogan nascondono valenze diverse ma tutte finalizzate ad un unico obiettivo: messaggio alla Nato con invito a guardare alla Turchia non più come il fedele alleato di un tempo e nel contempo uno sprone agli Stati Uniti ad un rinnovato impegno nel Mediterraneo, ma è indirizzato anche alla Germania della Merkel che finanzia la Turchia per inibire in Europa l’ingresso dei migranti clandestini. Ma sorge spontanea la domanda:” L’Italia ha le capacità e le qualità politiche, istituzionali e innanzitutto morali, per affrontare il mondo nuovo che si è venuto a creare con nuove condizioni e contraddizioni internazionali, dopo la caduta del muro di Berlino? Mentre durante la Guerra fredda, gli schieramenti erano rigidi e ben definiti e di conseguenza i comportamenti prevedibili, oggi al contrario con l’ascesa di un’altra super potenza come la Cina, e di alcune medie potenze, come tranquillamente può essere definita la Turchia, ci ritroviamo difronte ad uno scenario totalmente cambiato e molto complesso. Oggi l’Italia pur godendo di una sorta di protezione Occidentale, risulta sicuramente l’anello più debole della catena, per le sue fragilità, per i suoi governi istituzionalmente sempre più deboli per le falle che si sono aperte circa il suo modo di intendere l’Unione Europea. E’ diventata un terreno di scontro politico tra fazioni filo-occidentali, filo-russe e anche filo-cinesi. Per non parlare, poi, di una parte della classe dirigente pronta a vendersi al miglior offerente. In una situazione mondiale così complessa, la competizione democratica/elettorale dovrebbe convivere con la consapevolezza dei pericoli che si possono correre e un’alleanza su come affrontarli. Oggi l’Italia si regge sul prestigio e sull’autorevolezza che Draghi ha a livello internazionale. Per il futuro bisogna augurarsi che i partiti che a causa dell’epidemia hanno riposto l’ascia di guerra, sappiano trovare quella saggezza necessaria che è del tutto assente.
Andrea Viscardi