Mario Draghi tra oggi e domani chiederà la fiducia al Parlamento, puntando all’unità della maggioranza con tre riforme principali. Secondo le indiscrezioni dovrebbe essere un discorso breve, di circa una mezzora. L’Europa, l’atlantismo e l’ambiente, i cardini principali. Poi le riforme considerate centrali, a partire dal Recovery plan: fisco, giustizia, pubblica amministrazione. E ovviamente la pandemia e la campagna vaccinale, altre questioni chiave.
Resta sullo sfondo il caso sci, con quello stop della stagione giunto ‘al novantesimo’ che ha riportato allo scoperto le tensioni sulla gestione della pandemia, a cominciare dal ruolo del Cts. Tensioni che ora portano nella nuova maggioranza le istanze di chi fino alla scorsa settimana era all’opposizione.
L’incontro tra Nicola Zingaretti e Matteo Salvini, fornisce, appunto, la rappresentazione della nuova geografia creata dal governo Draghi. Un colloquio alla Camera, non più di mezz’ora, ma pur sempre significativo. Tanto che alla fine il riserbo che doveva proteggerlo viene a cadere. “Abbiamo parlato di lavoro, del prossimo blocco dei licenziamenti, bisognerà parlare con le parti sociali”, spiega Salvini confermando che una nuova stagione, e non potrebbe essere altrimenti, sta partendo. Lo dimostrano anche le dichiarazioni sulla necessità di “deporre l’ascia di guerra”. Con un milione di posti di lavoro già saltati, penso che la politica debba usare il tempo per risolvere i problemi.
Nessun dubbio sul sostegno all’esecutivo ma la richiesta resta che il presidente del Consiglio apra un confronto in vista del programma da attuare in Parlamento e anche del lavoro da portare avanti sul ‘Recovery’. Sul tavolo di Draghi, si diceva, c’e’ il ‘puzzle’ dei sottosegretari e resta da vedere la reale consistenza dei ‘frondisti’ M5s: sono 25 i senatori pentastellati orientati a non votare la fiducia. Un consistente gruppo autonomo, se passasse la linea dura e si arrivasse alla scissione.
Gli attivisti del M5s, in un appello che porta anche la firma di alcuni parlamentari come Lezzi, Angrusani e Granato, chiedono un nuovo voto su Rousseau, sul governo Draghi, ma anche sulle”responsabilità personali” di Crimi e del Comitato di garanzia,”colpevoli” di avere avallato una “consultazione ingannevole che rischia di incidere in modo importante sulla nostra azione politica e sulla nostra compattezza”. La petizione denuncia la”incommensurabile perdita” dell’addio di Di Battista e chiede la possibilità di votare “sulla base di un quesito onesto, sincero. veritiero e reale sul ruolo del M5s nel Governo”.
Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha nominato l’Ambasciatore Luigi Mattiolo suo Consigliere diplomatico e rappresentante personale/Sherpa per i vertici G7 e G20, a decorrere da ieri. L’Ambasciatore Mattiolo, si legge in una nota diffusa da Palazzo Chigi, è in carriera diplomatica dal 1981 e ha svolto le funzioni di Capo missione presso le sedi di Tel Aviv, Ankara e Berlino.
Draghi sarà ” obbligato” a parlare e a comunicare. Così Rocco Casalino, portavoce dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a ” Quarta Repubblica” analizza la strategia comunicativa dell’attuale premier. ” C’è una maggioranza variegata, molto litigiosa – considera Casalino – vedo che alcuni non riescono ad abbandonare la scena. Il rischio è che se lui sta in silenzio, parleranno i leader dei partiti e diranno cose diverse”.
Il governo autorevolmente guidato da Mario Draghi può essere l’occasione propizia per inaugurare anche una stagione politica che sia in grado, pur senza coltivare facili illusioni, di invertire un po’ la rotta rispetto al decadimento etico, culturale, politico e anche programmatico a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi.
E’ necessaria una linea politica che metta insieme culture e sensibilità diverse con la veritiera ambizione di rappresentare un punto di equilibrio e di sintesi per il sistema politico italiano. E, quel che più conta, con una classe dirigente che non faccia del basso trasformismo e del bieco opportunismo la sua cifra distintiva.
Una vera cultura di governo, con capacità di comporre interessi contrapposti, che abbia un grande rispetto delle istituzioni con un vero senso dello Stato, che eserciti una cultura della mediazione, che batta alla radice qualsiasi deriva che punta alla radicalizzazione della lotta politica e che, soprattutto, abbia una classe dirigente che sappia finalmente coniugare rappresentatività territoriale, politica e sociale con la qualità della medesima classe dirigente.
E’ del tutto evidente che l’attuale fase politica è quasi antropologicamente diversa rispetto a quella del passato. Del resto, quando prevalgono i disvalori del trasformismo, del populismo e quindi dell’opportunismo, è del tutto evidente che la politica, almeno quella che per molti anni abbiamo conosciuto e sperimentato anche nel nostro paese, è destinata ad arretrare e a fare un passo di lato.
Le logiche politiche hanno fatto la fortuna di alcuni partiti, può diventare nell’arco di poco tempo una palla al piede per chi vuole e cerca di ridare prestigio, autorevolezza e credibilità alla stessa politica e ai partiti. Ma per centrare questo obiettivo è altrettanto evidente che si rende indispensabile una classe politica e dirigenziale che non sia ispirata a quei disvalori.
Populismo e trasformismo non possono più essere le stelle polari che orientano le scelte politiche e gli stessi comportamenti concreti, Di conseguenza, l’inaffidabilità e il cinismo più spregiudicato dei vari capi e capetti politici non rientrano tra gli elementi più gettonati per la nuova e futura classe dirigente. Gli slogan, ormai sempre più virali sulla rete, attorno al “mai e poi ancora mai con quel partito e con quell’esponente politico” non possono più essere il metro con cui si misura la credibilità della classe dirigente politica. Slogan che si sono rivelati, tra l’altro e come l’esperienza ha platealmente confermato, solenni falsità.
Draghi farà sentire, come detto, la sua voce in Parlamento, tra oggi e domani, con una richiesta di moratoria delle polemiche per concentrarsi, invece, sulla soluzione dei problemi, offrendo una ‘quadra’.
La tesi è che serve collegialità nelle decisioni e che pur rispettando le scelte del premier occorre un dialogo preventivo. Già in fase di composizione dell’esecutivo i leader si erano lamentati di una comunicazione tardiva da parte del premier, per scelte condivise con il Colle ma non nei passaggi decisivi con le forze politiche. Nessun dubbio sul sostegno all’esecutivo ma la richiesta resta che il presidente del Consiglio apra un confronto in vista del programma da attuare in Parlamento e anche del lavoro da portare avanti sul ‘Recovery’.