IL MESSAGGIO
La foto, scattata dalla fotografa Lindsay Foster, era coperta da copyright ma venne utilizzata da Fdi e Gioventù Nazionale per una campagna di comunicazione contro questa pratica ribaltando l’entusiasmo ritratto dalla Foster: “Lui non potrà mai dire mamma. I diritti da difendere sono quelli dei bambini”, era lo slogan che accompagnava l’immagine, in riferimento al bambino portato in grembo da una donna “incubatrice”. Per questa ragione il tribunale ha stabilito che Fdi ha violato il copyright e ha condannato il partito a risarcire i due padri con 10mila euro ciascuno, oltre alle spese processuali. Gli avvocati Michele Giarratano, Stefania Gervasi e la toga militante Cathy La Torre hanno indetto una conferenza stampa per celebrare la vittoria.
Hanno fatto riferimento non solo alla mera violazione di diritti d’autore ma anche all’uso illegitimo della foto accompagnata da slogan “contrario”: «Un precedente importante», ha affermato La Torre, «che insegna che non si può fare propaganda sulla pelle e sulla vita delle persone. La sentenza, che prevede anche un risarcimento per i nostri assistiti, sia un monito per la politica tutta. Ci aspettiamo che FdI (già coinvolta in un analogo episodio della causa intentata nel 2014 da Oliviero Toscani contro l’allora Fdi-An che usò un suo scatto con due coppie omosessuali con al centro un neonato e il testo “Un bambino non è un capriccio. Non alle adozione per i gay. Difendiamo il diritto dei bambini ad avere un papà ed una mamma”, ndr) si scusi con questi due padri. Possiamo discutere di queste cose in Parlamento ma, per fortuna, esistono delle regole che non possono essere».
Andando ancor più a fondo della questione, si legge che nella sentenza, e nel risarcimento dovuto singolarmente ad entrambi i membri della coppia, ha recitato un ruolo cruciale il fatto che sia diventata talmente virale da poter procurare problemi alla coppia qualora venisse in Italia. Il giudice ha quindi riconosciuto un disagio effettivo recato ai due canadesi. Secondo la sentenza: «Si è verificata un’indebita interferenza nella sfera personale della coppia canadese, anche perché l’immagine è particolarmente intima e ritrae un neonato, non riconoscibile ma potenzialmente identificabile come figlio dei due effigiati. Questo ha leso il diritto alla tutela dell’immagine e della riservatezza, dei due canadesi, esponendo senza il loro consenso alla pubblica visione un momento di intimità familiare accompagnato dalla formulazione di un giudizio negativo».
LA BATTAGLIA
Per gli avvocati si tratta di un successo, seppur contenuto nelle cifre, a fronte di una viralità della campagna (come stabilito dalla stessa sentenza) dovuta al fatto che probabilmente come lettura bucò parecchio nell’opinione pubblica. E siccome la battaglia sulla maternità surrogata è ancora in corso (alla Camera approderà il 19 giugno la proposta di legge dell’onorevole Varchi, di FdI, che intende punire penalmente la cosiddetta “gestazione per altri” anche quando effettuata all’estero, mentre al pride di Roma, per la prima volta dopo dieci anni, è stato negato il patrocinio della Regione Lazio proprio per la menzione della necessità di regolamentare la maternità surrogata nel suo manifesto) il termometro del pensiero diffuso in Italia sulla questione dovrebbe togliere il sorriso ai sostenitori della pratica. A prescindere da una mera sentenza sul copyright.
Fonte: Daniele Dell’Orco