Ecco le sanzioni dell’Europa alla Russia

L’Italia parteciperà alla guerra in Ucraina, se necessario, con forze in capo alla NATO già costituite e già da tempo schierate in zona di operazioni: circa 240 uomini attualmente schierati in Lettonia, insieme a forze navali, e a velivoli in Romania, e altre che saranno attivate su richiesta dell’Alleanza atlantica se servirà.

L’Italia, ha annunciato il premier Draghi nel suo discorso a Camera e Senato, è pronta a contribuire con circa 1400 uomini e donne dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica, e con ulteriori 2000 militari disponibili. Un totale di 3400 unità che saranno impiegate nell’area di responsabilità della NATO: ma non c’è nessuna autorizzazione implicita dell’attraversamento dei confini.

Le sanzioni dell’Ue contro la Russia

E le sanzioni? Draghi ha spiegato che l’Italia è perfettamente in linea con gli altri Paesi dell’Unione Europea, primi tra tutti Francia e Germania. Dopo la decisione da parte di Putin di riconoscere l’indipendenza dei territori di Donetsk e Luhansk, le misure sono state coordinate insieme ai partner del G7. Dopo l’invasione le sanzioni sono state inasprite.

Ecco quali sono:

  • bando alle importazioni e alle esportazioni da entità separatiste, sul modello di quanto fatto nel 2014 in risposta all’annessione illegale della Crimea
  • sanzioni economiche e finanziarie alla Russia, come il divieto di rifinanziamento del debito sovrano sul mercato secondario e il congelamento di asset di tre istituti bancari
  • sanzioni mirate nei confronti di individui e entità, come gli oltre 300 membri della Duma che hanno proposto il riconoscimento dei territori separatisti e che hanno votato a favore
  • misure finanziarie, come il divieto di rifinanziamento per banche e imprese pubbliche in Russia, e il blocco di nuovi depositi bancari dalla Russia verso istituti di credito dell’Unione Europea
  • misure sul settore dell’energia, mirate a impedire il trasferimento di tecnologie avanzate, usate soprattutto per la raffinazione del petrolio
  • misure sul settore dei trasporti, come il divieto di esportazione esteso a tutti i beni, le tecnologie, i servizi destinati al settore aereo
  • blocco dei finanziamenti per nuovi investimenti in Russia e altre misure di controllo delle esportazioni
  • sospensione degli accordi di facilitazione dei visti per passaporti diplomatici e di servizio russi
  • si prevede un secondo pacchetto che includa membri della Duma non ancora sanzionati
  • nel nuovo pacchetto di sanzioni europee è stato previsto anche il congelamento dei beni in Europa di Putin e del Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov.

Il problema del gas

Ora l’allerta massima è per la nostra economia. La maggiore preoccupazione riguarda il settore energetico, che è già stato colpito dai rincari di questi mesi: circa il 45% del gas che importiamo proviene infatti dalla Russia, in aumento dal 27% di dieci anni fa. “Le vicende di questi giorni dimostrano l’imprudenza di non aver diversificato maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori negli ultimi decenni” ha detto Draghi senza giri di parole.

In Italia, abbiamo ridotto la produzione di gas da 17 miliardi di metri cubi all’anno nel 2000 a circa 3 miliardi di metri cubi nel 2020, a fronte di un consumo nazionale che è rimasto costante tra i 70 e i 90 miliardi circa di metri cubi. “Dobbiamo procedere spediti sul fronte della diversificazione, per superare quanto prima la nostra vulnerabilità e evitare il rischio di crisi future”. L’Italia è tra i Paesi in assoluto più esposti.

Il Governo intanto monitora in modo costante i flussi di gas, in stretto coordinamento con le istituzioni europee. Gli stoccaggi italiani beneficiano dell’aver avuto, a inizio inverno, una situazione migliore rispetto a quello di altri Paesi europei, anche grazie alla qualità delle nostre infrastrutture.

Perché la situazione in Italia è migliore di altri Paesi Ue

Il livello di riempimento aveva raggiunto il 90% alla fine del mese di ottobre, mentre gli altri Paesi europei erano intorno al 75%, ha sottolineato il premier. Gli stoccaggi sono stati poi utilizzati a pieno ritmo e nel mese di febbraio hanno già raggiunto il livello che hanno generalmente a fine marzo.

Questa situazione, che sarebbe stata più grave in assenza di infrastrutture e politiche adeguate, è simile a quella che vivono altri Paesi europei tra cui la Germania. “La fine dell’inverno e l’arrivo delle temperature più miti ci permettono di guardare con maggiore fiducia ai prossimi mesi, ma dobbiamo intervenire per migliorare ulteriormente la nostra capacità di stoccaggio per i prossimi anni”.

L’Italia è impegnata inoltre a spingere l’Unione Europea nella direzione di meccanismi di stoccaggio comune, che aiutino tutti i Paesi a fronteggiare momenti di riduzione temporanea delle forniture.

Nuovi gasdotti e centrali a carbone

La nostra capacità di utilizzo è comunque limitata dal numero ridotto di rigassificatori in funzione. “Per il futuro, è quanto mai opportuna una riflessione anche su queste infrastrutture”. Il Governo – ha proseguito Draghi – intende lavorare per incrementare i flussi da gasdotti non a pieno carico, come il TAP dall’Azerbaijan, il TransMed dall’Algeria e dalla Tunisia, il GreenStream dalla Libia. Potrebbe persino essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato.

Il Governo si dice anche pronto a intervenire per calmierare ulteriormente il prezzo dell’energia. “Per il futuro, la crisi ci obbliga a prestare maggiore attenzione ai rischi geopolitici che pesano sulla nostra politica energetica, e a ridurre la vulnerabilità delle nostre forniture”.

Più fonti rinnovabili

Ha parlato del gas, Draghi, “ma la risposta più valida nel lungo periodo sta nel procedere spediti, come stiamo facendo, nella direzione di un maggiore sviluppo delle fonti rinnovabili”, anche e soprattutto con una maggiore semplificazione delle procedure per l’installazione degli impianti.

Draghi fa notare infine che gli ostacoli a una maggiore speditezza su questo percorso non sono tecnici o tecnologici, ma sono solo burocratici. Ma anche per questo il gas resta essenziale come combustibile di transizione. Per questo va rafforzato il corridoio sud, va migliorata la nostra capacità di rigassificazione e aumentata la produzione nazionale a scapito delle importazioni, “perché il gas prodotto nel proprio Paese è più gestibile e può essere meno caro”.

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