E’ mistero sulle scatole nere dell’aereo dell’Egyptair precipitato due giorni fa in mare, Fonti governative egiziane alla Cbs avevano annunciato l’individuazione dei congegni che registrano i dati di volo nello stesso tratto di mare dove erano affiorati i resti umani e i rottami dell’aereo precipitato con 66 persone a bordo. Ma successivamente un alto funzionario anonimo del ministero dell’aviazione civile, coperto dall’anonimato, ha smentito questa informazione. Per ora è certo, a seguito del disastro, che saranno posti negli aeroporti Metal detector anche all’esterno, controlli lungo le strade d’accesso e ai varchi merci effettuati anche da militari, bonifiche ripetute dell’intero perimetro degli scali. In attesa di conoscere quel che è accaduto al volo Egyptair Parigi-Cairo, la sicurezza degli e negli aeroporti torna al centro delle discussioni degli apparati d’intelligence di mezzo mondo poiché, se verrà confermata l’ipotesi che si è trattato di un attentato, è evidente che c’è stata un’ennesima falla della sicurezza proprio in uno dei luoghi più sensibili tra quelli ritenuti a rischio. Un problema che si ripete a due soli mesi di distanza dall’attentato all’aeroporto Zaventem di Bruxelles dove, ha denunciato la polizia, almeno 50 persone sono andate e tornate dalla Siria e ora lavorano nelle pulizie e ai duty free e potrebbero essere potenziali ‘spie’ dell’Isis. E proprio in seguito agli attentati nella capitale belga, l’Europa ha cominciato a valutare l’ipotesi di introdurre anche nei suoi scali un modello ‘stile Tel Aviv’. Da decenni negli aeroporti israeliani si accede solo dopo rigidissimi controlli che prevedono i metal detector all’entrata degli scali per bagagli e persone più il controllo del biglietto e del passaporto. All’interno, inoltre, migliaia di telecamere e una presenza costante dei servizi di sicurezza consente un controllo praticamente totale su chi entra e chi esce dagli scali. Anche negli Stati Uniti, dopo l’11 settembre, sono stati adottati controlli molto rigidi, che da allora hanno provocato code di ore ai varchi e ai check in. L’attacco all’America ha fatto sì che venissero prese ulteriori misure dalle compagnie: porte blindate per le cabine di pilotaggio, apribili solo dall’interno, controlli o addirittura divieti per tubetti del dentifricio, deodoranti, gel, scatole del trucco, bottigliette di profumo e d’acqua. Lo scorso 21 aprile, inoltre, i ministri dell’Ue hanno formalmente adottato il Pnr, il registro dei passeggeri ritenuto fondamentale per la lotta al terrorismo e l’individuazione dei foreign fighters. Ma ora è necessario accelerare le procedure per l’attuazione. Il punto è che, fanno notare tutti gli esperti di sicurezza, il rischio zero non esiste. E che le dimensioni molto variegate degli aeroporti europei, dove a decine di scali regionali si sommano hub con milioni di passeggeri l’anno come Londra e Parigi, non consentono un’unica strategia operativa. In Italia, ad esempio, dove il livello d’allerta è 2, vale a dire l’ultimo prima di quello che scatta in caso di attentato, nei principali aeroporti sono stati schierati anche i militari, che pattugliano sia l’esterno che l’interno dello scalo. E’ inoltre stata rafforzata la vigilanza alle biglietterie, nelle zone esterne e lungo il perimetro e si sta incrementando la videosorveglianza: solo negli scali romani sono a disposizione duemila telecamere all’interno, 45 a circuito chiuso lungo il perimetro ed è stata avviata la sperimentazione di un sistema antintrusione avanzato, con 7 telecamere lungo un tratto particolarmente esposto.
Cocis