ELETTRA, un viaggio che parte da lontano

In primissima nazionale al Teatro Vascello di Roma, nello storico quartiere di Monteverde vecchio, dallo scorso 25 marzo fino a domenica  3 aprile è in scena “ELETTRA, tanta famiglia e così poco simili”, adattamento e regia di  Andrea Baracco, estimatore dei grandi classici, interpretato da Flaminia Cuzzoli nel ruolo della protagonista, con Carlotta Gamba (Crisotemi) , Alessandro Pezzali (Oreste) e con la straordinaria partecipazione di Manuela Kustermann, tassello fondamentale del teatro italiano e direttrice del Vascello, nel personaggio di Clitennestra.
Hugo Von Hofmansthal scrisse Elektra nel 1904, ispirata dalla tragedia attica di Sofocle (425 a.c.) più fedele al mito rispetto a Eschilo ed Euripide.
Quando Egisto e Clitennestra uccidono a sangue freddo suo marito Agamennone, intendono uccidere anche il figlio Oreste. La sorella Elettra lo salva, ponendolo sotto la protezione di uno schiavo alla corte del re Strofio in Focide.
Oreste, diventato adulto, comunica di nacosto con la sorella: una ciocca di capelli, deposta sulla tomba di suo padre, è segno per Elettra che suo fratello è vicino.
Si accendono le luci sulla scenografia, una sorta di teca chiusa trasparente, significante del confine e distanza tra madre e figlia.
Elettra non si vedrà mai entrare nella teca, rimanendo per tutto il tempo al di fuori.
Lei, protagonista assoluta, attendendo il fratello per la vendetta, recita una delle poesie di Sylvia Plath, scritta nel 1963, che ripeterà anche alla fine della pièce, aggiunta del regista a sua libera interpretazione. Canti e musiche ne fanno da cornice a tratti gotica: qui il momento del monologo con cui Elettra ricorda l’omicidio del padre il cui volto appare proiettato su uno schermo e fa da controscena alla disperazione di Elettra.
Emozionante il dialogo acceso tra Elettra e la sorella minore, tratto dall’originale, la quale invece vorrebbe andare avanti e dimenticare gli avvenimenti dell’uccisione di Agamennone, sognando una propria vita. 
È proprio questa la differenza tra il mito di Sofocle e il novecentesco austriaco Hofmansthal il quale incentra tutto su Elettra, sul suo odio, sulla sua rivincita.
All’arrivo di Oreste, insieme, i due escogitano un piano che nel tempo gli si ritorcerà contro, proprio perchè la vendetta è fardello sulle spalle di chi la compie, da pagare con la vita.
Sembra quasi che il regista voglia dar spazio alla famiglia al femminile, rendendo un burattino Egisto e un personaggio muto Oreste. Quest’ultimo appare in carne e ossa, ma senza dire una parola al contrario di come avviene nell’originale. Questa scelta, dice il regista, è ispirata da una lettera che Hofmansthail scrisse a Strauss in cui sostiene che preferirebbe un Oreste muto così da renerete più palpabile lo spirito di vendetta verso Clitennestra attraverso la sola mimica.
Oreste per farsi riconoscere da Elettra, si spoglia delle sue vesti. I due, dopo essersi ritrovati, attuano il piano di omicidio verso la madre. Entrerà lui nella teca trasparente e compirà l’atto, insanguandosi la testa.
Il pathos finale viene accentuato con pezzi originali dell’opera  straussiana e dall’apparizione su uno schermo dell’assassinato Agammenone.
Barbara Lalle

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