A picture Italian premier Matteo Renzi today during the meeting with Nato secretary general Jens Stoltenberg in Rome, May 24, 2016. ANSA/ CHIGI PALACE PRESS OFFICE +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

‘Elezioni amministrative’ con i big al rush finale e scontro totale sul ‘referendum’

Sarà il primo ‘test’ vero dopo le Regionali e, sebbene il premier Matteo Renzi ribadisca come alle amministrative non si voti sul governo, sale la tensione sulle elezioni che, domenica prossima, coinvolgeranno le principali città italiane. Un voto che, nell’ultima settimana elettorale, vedrà scendere in campo praticamente tutti i ‘big’ della politica, a cominciare proprio da Renzi. Il premier e segretario Pd, infatti, oggi è a Torino, domani a Milano e mercoledì a Roma, infilando un ‘filotto’ teso a dare la spinta decisiva ai candidati Dem. La partita Comunali, infatti, è apertissima e si incrocia, dentro e fuori il Pd, con quella ben più cruciale delle riforme, in merito al quale lo scontro è totale. Le amministrative sono elezioni in cui si sceglie la persona che deve governare una città, al referendum d’ottobre invece l’Italia è a un bivio, rimarca Renzi ribadendo come votando sì alle riforme l’Italia potrà porre fine agli inciuci per sempre. Parole che infiammano, nuovamente, le opposizioni. Non va  trascurata la posizione di Massimo D’Alema che sia pure in posizione diversa da Bersani si sta preparando anch’egli al grande ritorno: ‘Ho sempre sostenuto  che il Presidente del Consiglio dei Ministri Renzi ha commesso  tutta una serie di banali errori tattici credendo di poter rottamare  addirittura tutta una classe dirigente del Pd che è  da  almeno trent’anni sulla breccia della politica,  avendo svolto ruoli di grande responsabilità nazionali ed internazionali’. Renzi  non doveva sostenere di doversi dimettere nel caso in cui il suo referendum venisse bocciato, come ha sostenuto anche la  ministra Boschi che ha dichiarato di dimettersi nel  caso che il referendum venisse bocciato.  Ora si attende il 5 giugno per vedere quale sarà il calo del Pd e l’incremento del Movimento 5 Stelle: ‘Non saremo certo noi a chiedere le dimissioni di Renzi se vince il no, M5s non vuole personalizzare altrimenti così si fa il gioco di Renzi’, è la mossa che, sul fronte opposto, si gioca Luigi Di Maio spiegando come, in caso di ‘no’ alla riforme, sia fondamentale il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: ‘Non voglio tirarlo per la giacchetta ma spero che intervenga e indichi agli italiani con quale legge elettorale si va perché al Senato c’è l’Italicum mentre alla Camera il Consultellum’.  Berlusconi chiama i ‘rassegnati’ alle urne e torna a puntare il dito contro un governo ‘abusivo e illegittimo’ che con il combinato disposto Italicum-riforme vuol dar vita ad un regime. Il voto di domenica apre anche   agli endorsement delle ‘star’. E non è un caso che, all’indomani del sostegno giunto al M5s dalla ‘fedelissima’ Pd Sabrina Ferilli, sull’Unità  una star nazionalpopolare come Gigi Buffon benedica le riforme renziane,   applaudendo un premier che ha ‘coraggio, ci mette la faccia, ci prova’. Toccherà poi ai comizi finali definire gli equilibri di una partita che vede Pd e M5S in costante polemica  Mentre Renzi sgombra ogni dubbio dal sostegno di Denis Verdini ad alcune liste del centrosinistra: ‘Risponde a singole realtà territoriali ed io non ho nessun imbarazzo’. In realtà il vero problema evidente per le votazioni è rappresentato dall’astensionismo che è agli apici. Esistono ormai elettori a intermittenza che scelgono a seconda della tornata visto che l’architrave della democrazia dei partiti è in aperto declino.  Gli elettori  sono diventati disincantati e intermittenti, che decidono di volta in volta se andare a votare e a chi dare il proprio consenso. L’unica forma di partito nuova, in questa fase, che ha saputo cogliere il malessere dell’antipolitica è il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo.  La percentuale di votanti è crollata al 75,2%, il dato più basso dell’Italia repubblicana (-5,3% rispetto al 2008 e -8,4% sul 2006): più di un italiano su quattro ha disertato le urne. L’assetto bipolare della Seconda Repubblica è risultato così fortemente ridimensionato dal clamoroso risultato del Movimento 5 stelle, che alla prima elezione, superando il 25% dei suffragi, divenne il partito più votato.  Si è registrato, infine, un livello di volatilità elettorale (39,1%) mai raggiunto prima nella storia della democrazia italiana. Gli anni dominati dalla democrazia dei partiti con il 90% e più di votanti sembrano distanti anni luce. I dati sull’astensionismo spesso sono analizzati con l’attenzione che meritano solamente all’indomani dello scrutinio dei voti e  si dimentica che la partecipazione elettorale rappresenta uno dei principali indicatori del corretto funzionamento del rapporto tra cittadini e istituzioni e quindi, in ultima istanza, della democrazia.  Gli astensionisti cronici sono i  cittadini che hanno ormai maturato una radicale avversione verso gli istituti della democrazia rappresenta­tiva e quindi esprimono una completa negatività nei confronti dell’esercizio del diritto di voto.  L’astensionismo è, in questa fase della storia d’Europa più che in altre, un indicatore sensibile del disagio profondo proveniente da una società insicura  che stenta a vedere nella politica uno strumento in­dispensabile per realizzare, con metodi pacifici, una redistribuzione della ricchezza, una diminuzione delle ingiustizie e un aumento delle opportunità di elevazione sociale. I partiti e le istituzioni sono chiamati a ripensare loro stes­si, le loro forme e i loro processi decisionali, perché continuare come se niente fosse, come se la democrazia esistesse in natura e non sia, invece, una delle possibili forme di governo, potrebbe portare rapida­mente a schiantarsi contro il muro dell’indifferenza e dell’alienazione degli elettori, tradizionale terreno fertile del populismo.

Roberto Cristiano

 

 

 

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