Le elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre che porteranno alle urne più di dodici milioni di italiani per scegliere 1192 nuovi sindaci, un nuovo presidente della regione Calabria e due nuovi deputati a Roma e Siena rappresentano un buon termometro per misurare la temperatura alla politica nazionale in questa fase storica. E’ indubbio che questo voto ‘locale’, come spesso viene derubricato in queste situazioni, soprattutto in queste elezioni, in questo determinato periodo storico, non possa non incidere sul quadro politico nazionale. Incide, eccome, nonostante in quasi tutti i comuni italiani chiamati al rinnovo delle amministrazioni locali i partiti si siano ‘nascosti’ dietro liste civiche e candidati civici. Questo civismo da un lato fa bene alla gestione della cosa pubblica perché porta tanti cittadini ad avvicinarsi alla politica. Ma questa pratica non fa bene ai partiti che sono obbligati a ‘delegare’, spesso per proprie incompetenze, ad altri quel ruolo di sentesi politica e presentabilità davanti agli elettori: in tanti casi si è registrata una mancanza di coraggio sommata ad mancanza di credibilità per assenza di una classe dirigente all’altezza del ruolo di indirizzare gli elettori verso determinate scelte. Impossibile credere, però, che partiti radicati sul territorio non abbiano tra le loro fila figure idonee a vestire la fascia tricolore. Impossibile ma succede quasi ovunque e tutti utilizzano la medesima scusa: il candidato civico riesce, a livello locale, ad un unire e fare sintesi rispetto al simbolo del partito. Un argomento fin troppo labile perché farebbe venir meno il ruolo fondamentale svolto dai partiti in tutte le democrazie contemporanee. La verità è che ora i partiti italiani stanno vivendo una fase storica simile ad una maionese impazzita. E il risultato elettorale di questa tornata elettorale rischia farla impazzire ancora di più. Da destra a sinistra passando per quel centro in fase di costruzione tutti dovranno fare i conti con le urne. In questo contesto di maionese impazzita significa, innanzitutto,regolamento dei conti interni per tutti con risvolti sulle scelte future. Tutti cercheranno, da metà ottobre, di incidere, a seconda del risultato delle amministrative, sulle scelte della politica nazionale. Ed in questo caso ritornano in auge, come per magia, i partiti nazionali, i loro simboli, le loro necessità e i rispettivi distinguo. Per loro,però, il banco di prova è quanto di più difficile potesse capitargli. L’elezione del Presidente della Repubblica è la partita delle partite, più di una finale di coppa del mondo: il risultato finale inciderà sull’intero sistema politico italiano e coinvolgerà tutti i partiti, da sinistra a destra passando per il centro. La partita sul Quirinale dirà anche se e quando si ritornerà a votare: quindi elezioni anticipate o scadenza naturale della legislatura. Tutto dipenderà solo ed esclusivamente dall’elezione del Presidente della Repubblica dove ogni partito vorrà dare le proprie carte. Ma anche in questo tavolo da gioco, ancora una volta, a decidere chi vincerà o perderà sarà il croupier e non i singoli giocatori con le loro giocate figlie, in questo momento storico, anche del risultato elettorale delle elezioni amministrative. Ancora una volta, bisogna sottolinearlo, sarà l’attuale presidente del consiglio che taluni lo vorrebbero ancora a Palazzo Chigi altri sul Colle più alto ad ‘indirizzare’ le scelte dei partiti. Tutto gira attorno alla figura di Mario Draghi e alle sue decisioni ‘future’. Un passaggio, questo, che delinea la debolezza dei partiti che devono affidarsi ad una persona ‘tecnica’ per risolvere problemi da loro creati e diventati, per loro, impossibili da affrontare e risolvere. Draghi non sarà e non potrà essere eterno, resterà sempre ‘terzo’ rispetto agli schieramenti attuali, ma non potrà continuare a salvare il sistema partitico italiano. I partiti anche questa volta possono sfruttare lo scudo offertogli dall’ex numero uno della Bce ma poi dovranno iniziare a diventare adulti e a camminare sulle proprie gambe.
Andrea Viscardi