Mossa del neogovernatore del Lazio Nicola Zingaretti scende in campo per la segreteria Pd dopo le dimissioni di Matteo Renzi.
‘Io ci sarò’. Nicola Zingaretti, rieletto Presidente della Regione Lazio risponde così a Repubblica a proposito delle primarie del Pd aggiungendo, ‘Anche alle primarie, non escludo nulla’. Sull’intesa con M5S è netto: ‘Restiamo all’opposizione’.
Il motivo dei 341mila voti presi in più del Pd alle politiche? ‘Buona amministrazione e rilancio dello spirito dell’Ulivo’. E su Renzi spiega: ‘Un’esperienza che non possiamo liquidare’ e lo invita a spingere verso la rigenerazione.
Da liceale antirazzista a governatore del Lazio. In mezzo, un cursus che gradino dopo gradino e simbolo dopo simbolo (dalla Sinistra Giovanile, ai Ds, al Pd) segnano i passi di una carriera, quella di Nicola Zingaretti, tutta nelle file del principale partito della sinistra italiana. Di cui il giovane dirigente e’ sempre stato considerato prima un ‘golden boy’, poi un asso da giocare.
E il momento opportuno e’ stato la caduta della giunta regionale guidata da Renata Polverini, travolta dagli scandali dei fondi consiliari.
Romano, classe 1965, il nuovo presidente della Regione Lazio muove i primi passi nel movimento per la pace nel 1982.
A 17 anni fonda una associazione di volontariato antirazzista.
A 26 anni e’ segretario nazionale della Sinistra Giovanile. L’anno dopo, nel 1992, entra in Consiglio comunale a Roma.
Tra il 1995 e il 2000 Zingaretti e’ all’opera in ambito internazionale, prima alla presidenza dell’Unione internazionale gioventu’ socialista, poi responsabile delle Relazioni internazionali dei Ds.
Nel 2000 e’ segretario dei Ds Roma.
Quattro anni dopo e’ eurodeputato e presidente di delegazione italiana nel Pse. Nel 2006 e’ segretario regionale dei Ds.
L’anno dopo, 282 mila voti alle Primarie lo incoronano segretario del Pd Lazio. Nel 2008 succede a Enrico Gasbarra alla guida della Provincia di Roma col 51,5% dei voti. Nonostante le ristrette competenze dell’ente, la giunta Zingaretti riesce comunque a emergere (‘Una Provincia utile’ e uno dei suoi motti) grazie a una serie di iniziative, prime tra tutte la vasta rete gratuita Provincia Wifi, la diffusione della raccolta differenziata e il centro per l’occupazione Porta Futuro. Dal punto di vista politico, Zingaretti in questi anni e’ ‘schiacciato’ nella morsa Pdl del Campidoglio e, dal 2010, della Regione.
Ed e’ nel 2010 che il presidente della Provincia e’ tentato, per la prima volta, di fare il salto da Palazzo Valentini a via Cristoforo Colombo. Ma la sua ‘candidatura in pectore’ durera’ poche ore, e al suo posto andra’ Emma Bonino. Vincera’ Renata Polverini.
Il 25 aprile 2010 Zingaretti la difendera’ dalle contestazioni di piazza dei centri sociali, prendendosi in viso un limone al posto suo. Ne nascera’ un asse di cordialita’ non solo istituzionale, che i maliziosi interpreteranno in funzione anti-Alemanno.
Perche’ l’ambizione di Zingaretti e’ diventare il sindaco di Roma, e dal 2012 e’ di fatto gia’ pronto a scendere in campo contro Gianni Alemanno. Ma, caduta la giunta di centrodestra alla Regione, il partito chiama e il dirigente risponde. E’ lui a essere considerato il volto piu’ spendibile del Pd laziale e sara’ lui a correre per la carica di governatore.
Di idee laiche ma in buoni rapporti con il mondo cattolico, sposato, due figlie, schivo ha pero’ un fratello celebre, Luca, attore di successo al cinema e in tv nei panni del commissario Montalbano.
Una discrezione personale rispecchiata nell’atteggiamento politico, tanto da essere talora criticato (anche dai suoi alleati) come eccessivamente prudente e attendista. Un approccio che pero’ lo ha portato, di passo in passo, fino al ruolo di massimo amministratore del Lazio.
Lunedì la direzione Pd per decidere il percorso in vista delle consultazioni al Quirinale.
‘Non si può fare finta che sia colpa di uno solo. Non può farlo, soprattutto, chi fino al 4 marzo era nella maggioranza del partito’, il messaggio di Luca Lotti, braccio destro di Matteo Renzi, è rivolto a Dario Franceschini e a chi in queste ore sta prendendo le distanze dal segretario dimissionario, oltre che ai leader di minoranza Andrea Orlando e Michele Emiliano. Arriva nel giorno in cui Ettore Rosato assicura che Renzi è già un ‘ex’ e non ha alcuna intenzione di succedere a se stesso: ‘Non parteciperà alle prossime primarie. E mette in chiaro che il ‘senatore di Firenze’ non ha intenzione di farsi mettere all’angolo, fare da capro espiatorio: non si farà scavalcare nelle scelte in Parlamento e per il governo.
Nel giorno in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lancia il suo primo appello alla responsabilità, è Lotti a indicare la linea renziana: ‘Siamo pronti come sempre ma forse anziché parlare del Pd, che ha perso e starà all’opposizione, è il momento di vedere cosa vogliono fare i vincitori Salvini e Di Maio’. Questa è la linea Pd, affermano dal Nazareno, perché nonostante le dimissioni del segretario i gruppi sono a maggioranza renziana: 38 su 56 al Senato, il 70-80% alla Camera, dove i deputati sono 112. Dunque i renziani eleggeranno i capigruppo che andranno alle consultazioni.
Discorso chiuso? No, perché alla lunga – ammettono tutti – gli equilibri possono cambiare. E nell’ora dei veleni, si incrociano sospetti. Rosato assicura che il 99% dei futuri deputati è contro una ipotesi di un sostegno a un governo M5s (c’è il sì solo di Emiliano), circola l’ipotesi che parte della maggioranza del partito sia tentata da un sostegno esterno a un governo di centrodestra (non a guida Salvini, ma di un leghista moderato). Suggestioni, per ora. Così come quella di un governo di larghissime intese per evitare il ritorno alle urne.
La direzione lunedì, alla quale Renzi ancora non ha deciso se andare, ufficializzerà la linea dell’opposizione e affiderà la reggenza a Maurizio Martina, nell’attesa dell’assemblea che ad aprile sceglierà se eleggere un segretario di transizione (magari lo stesso Martina, per poi tenere il congresso nel 2019) o indire subito le primarie (ma Calenda per statuto, ricorda Rosato, non potrebbe candidarsi).
Il vicesegretario, in queste ore starebbe lavorando all’ipotesi di un organismo collegiale che lo affianchi in questa fase, come chiede l’area Orlando, ma deve fare i conti con il no dei renziani. Intanto Lotti attacca chi addossa tutte le colpe a Renzi: ‘Ha ragione il ministro Orlando quando chiede un dibattito nel Pd, sul Pd. Perché sentire pontificare persone che non hanno mai vinto un’elezione è imbarazzante’. Lotti, forte di aver vinto il collegio senza paracadute, invita a una riflessione chi ha perso nel collegio di residenza ma si è salvato col paracadute, i governatori di Regioni dove il Pd è andato male e chi non ha proprio voluto correre. Orlando, che avrebbe sentito al telefono Lotti, con i suoi osserva che il messaggio è rivolto ai renziani in fuga. E in effetti in queste ore i renziani puntano il dito soprattutto contro Franceschini, sospettato – i parlamentari vicini al ministro negano – di trattare con M5s e destra per la presidenza della Camera.
Lunedì in direzione il ‘redde rationem’ in corso avrà una prima scena pubblica. Ma i padri nobili stanno cercando di evitare che il partito ‘salti’. Walter Veltroni avrebbe incontrato Martina in giornata, mentre Romano Prodi, su Repubblica, si è detto convinto che ‘il Pd non è morto’. Molto più amara l’analisi dell’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, che invita il partito a mostrare senso di responsabilità e descrive la disfatta elettorale come un evento annunciato, anzi un destino quasi compiuto: tutto lo faceva prevedere.