Svolta in Iran. Il moderato Hassan Rohani è stato eletto presidente al primo turo, ottenendo il 50.68% delle preferenze. “Questa è la vittoria dell’intelligenza, della moderazione e del progresso sull’estremismo”, ha commentato soddisfatto Rohani, in un messaggio trasmesso dalla televisione di Stato. La vittoria segna una cesura con l’era di Mohamed Ahmadinejad, tanto più che Rohani era stato fra i negoziatori della spinosa questione nucleare nell’era della presidenza moderata di Moahmemd Khatami. Così la notizia è stata accolta con soddisfazione da Londra e Parigi. Rohani ha promesso una maggiore flessibilità nel dialogo con l’occidente, ma è troppo presto per dire che tipo di atteggiamento avrà su dossier strategici come il nucleare o i rapporti internazionali che restano comunque sotto il diretto controllo della guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei.
Da parte sua la Gran Bretagna ha chiesto già a Rohani di “avviare l’Iran su una nuova via” soprattutto “lavorando sulle inquietudini della comunità internazionale circa il programma nculeare” mentre Parigi si è già detta “pronta a lavorare” con il neopresidente sul nucleare ma anche “sull’impegno dell’Iran in Siria”.
Secondo la Costituzione il presidente è la seconda carica dello Stato iraniano dopo la Guida Suprema ma dovrà gestire anche i rapporti con altri pezzi di potere in mano ai conservatori come il Parlamento e l’autorità giudiziaria in mano ai fratelli Ali e Sadegh Larijani.
In campagna elettorale Rohani ha scelto il simbolo della chiave, simbolo che apre la porta alla soluzione dei problemi del Paese: per quel che riguarda i negoziati nucleari si è impegnato per un governo “non di compromesso o di resa, me non neanche avventuriero”, in “continuità con Khatami e Rafsanjani”; l’ex negoziatore non ha infine scartato l’ipotesi, pur ritenuta “improbabile”, di un dialogo diretto con gli Stati Uniti per risolvere il contenzioso.