Si aspettava una vittoria spiazzante, ma nonostante i pronostici favorevoli non è stato così. Ha vinto ottenendo per un pelo la maggioranza, ma Benyamin Netanyahu governerà ancora. Le destre hanno infatti ottenuto in Parlamento 62 seggi su 120. Un risultato che lascia un po’ di amaro in bocca e vede la Knesset (il Parlamento israeliano) praticamente spaccata. Questa è al momento la ripartizione provvisoria, ulteriori aggiustamenti saranno apportati nei prossimi giorni, dopo lo spoglio delle schede degli israeliani residenti all’estero e con la spartizione dei voti andati alle liste non rappresentate in parlamento.
Un duro colpo per Netanyahu è stata sicuramente la grossa affermazione del nuovo partito centrista laico di “Yesh Atid”, del giornalista tv Yair Lapid, che facendo suo lo storico slogan di Barack Obama, ha festeggiato a tarda sera a Tel Aviv di fronte a una folla di sostenitori inneggiando alla “speranza di un cambiamento”. Sua infatti, a dispetto di tutti i pronostici, è stata la vera vittoria di queste elezioni. La lista Likud-Beitenu, frutto del patto tra Netanyahu e il suo ex ministro degli Esteri, il falco Avigdor Lieberman, ha invece conquistato 31 seggi: meno di quanto i sondaggi indicassero e molti meno dei 40 della somma complessiva di deputati allineati dai due partner nel parlamento uscente. A seguire ci sono appunto i centristi di Lapid con19 seggi, mentre i Laburisti di Shelly Yachimovich, in parziale recupero, si hanno ottenuto 17 seggi. Non oltre le previsioni meno rosee, il risultato dell’altra star delle elezioni, il nazionalista religioso ultrà Naftali Bennett, di “Bayit HaYeudi”, fermatosi a 12 seggi. Seguono gli ortodossi sefarditi dello Shas, pure a quota 12.
Il favorito Bibi, come è familiarmente chiamato in Israele, ha festeggiato il suo successo ma ha già sottolineato che il suo dovrà essere un governo di coalizione, “la più ampia possibile”. Poi, festeggiando il risultato con Lieberman al fianco, ha arringato una platea di attivisti indicando 5 impegni programmatici su cui costruire le auspicate larghe intese: dalla priorità degli sforzi per impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari alla moderazione politica, dalla responsabilità economica all’equità fra religiosi e laici, fino all’emergenza casa sul fronte sociale. Un modo per dire che ora la politica delle alleanze si impone su un voto che fotografa un Paese diviso.
Se i dati fossero confermati, si inaugura dunque una stagione di trattative e compromessi prima di arrivare alla formazione del nuovo esecutivo: esattamente il contrario di quello che si attendeva Netanyahu, che per tutta la campagna elettorale aveva chiesto una premiership forte con una nazione unita dietro di lui in modo da poter affrontare le numerose sfide che attendono Israele, dal dossier Iran, al riavvio delle trattative di pace, allo spinoso rapporto con gli Usa di Barack Obama e con la diplomazia europea sulla politica edilizia di espansione delle colonie nei Territori, seguita dal premier dopo l’accredito della Palestina all’Onu come Stato non membro. Ago della bilancia è a questo punto il centrista Lapid, che nella fase pre-elettorale si è già dichiarato disponibile ad una collaborazione governativa con Netanyahu e ha già parlato a sua volta di “larghe intese”.