Giorgio Gaber cantava:”Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra / L’ideologia, l’ideologia / Malgrado tutto credo ancora che ci sia / È il continuare ad affermare / Un pensiero e il suo perché / Con la scusa di un contrasto che non c’è. / Se c’è chissà dov’è, se c’è chissà dov’è». Ecco. Vogliamo ragionare sul tavolo delle riforme aperto dal capo del governo alle opposizioni? Vogliamo dirla tutta, proprio tutta? Io temo che la Schlein rischi la postura della “scusa di un contrasto che non c’è”. Perché ? Perché le sue dichiarazioni hanno un sottotesto, un non detto. Hanno messo in testa ad Elly – Dario Franceschini capeggia i laudatores – che lei è l’anti-Giorgia e ha davanti un grande futuro: più esattamente quello di prendere il posto della presidente del Consiglio in carica.
Schlein recita il ruolo di anti-Giorgia ad ogni costo
Pertanto, la leader del Pd deve recitare questo ruolo di “anti” ad ogni costo, in tutti i campi. Da notare, nell’incontro con la stampa successivo al confronto con la premier, come Elly abbia sempre evitato di riferirsi alla Meloni, parlando di “governo”, mai di presidente del Consiglio; o di nominare direttamente Giorgia. Quindi “anti” ovunque, senza possibili zone franche o extra-territorialità politiche. Neppure lessicali. Questo pare l’approccio della dichiarazione di guerra “alla donna o uomo solo al comando” che sembra un vagheggiamento liceale dell’abolizione degli organi monocratici. Manco fossero “monarchici”. Come se non ce ne fossero nel nostro ordinamento repubblicano, a partire dallo stesso Capo dello Stato; fino a presidenti di regione, sindaci, prefetti, questori, o giudici, appunto, “monocratici”. O come se il cambiamento dovesse produrre effetti a favore del capo del governo in carica e non diventare efficace nella prossima legislatura. Spero di sbagliarmi. Certo è che le riforme istituzionali dovrebbero essere sottratte allo scontro politico, per la loro stessa natura; certo, quando c’è – ed è innegabile ci sia – la volontà della maggioranza di condividere, per quanto più possibile, percorso e scelte con le minoranze parlamentari.
Si vuole impedire alla Meloni un altro primato storico. Ora, questo è un serio problema. Intanto perché la leader del Pd non ha chiaro che, così facendo, si allontana dal principio di realtà: tutti gli osservatori concordano che quello della Meloni è un governo di legislatura e pertanto la questione della “reconquista” progressista di Palazzo Chigi si porrà tra quasi cinque anni: in politica sono un tempo lunghissimo. E dagli sviluppi imprevedibili. E, poi, perché, seguendo tale strategia, la leader dem finirà per consumare, nell’inseguimento, il “prodotto nuovo” di sé medesima. La verità ? È probabile – ma non me lo auguro – che nella testa della segretaria del Pd ci sia la volontà di impedire alla Meloni – prima donna premier e primo capo del governo di destra – di riuscire in un altro risultato che potrebbe essere letto come “storico”: quello di una riforma decisiva per dare un nuovo profilo alla nostra Repubblica; e dare all’Italia, sul piano internazionale, una credibilità diversa da quella che strappa sorrisi e ironie sul male italico del frequente cambio di esecutivo e di premier. E ciò soprattutto nel “concerto delle Nazioni” – per dirla con Kissinger – costituito dagli organi dell’Ue e in particolare nel Consiglio europeo. In soldoni: non possiamo dare – pensano i dem – a Giorgia anche questo “primato”; permetterle di fare ciò che a nessuno é riuscito. Né nel centrodestra – la riforma Berlusconi fu bocciata dal referendum del 2006 – né nel centrosinistra: sette anni fa toccò alla legge Renzi- Boschi cadere sotto i “no” degli italiani nel referendum confermativo.
La riforma non stabilizza questo governo, ma i prossimi. Ma il modo per “demelonizzare” la riforma è esattamente l’opposto: partecipare al processo costituente a pieno titolo, metterci dentro proprie idee; e rendere evidente questo apporto della “gauche”, in modo da condividere gli utili del rinnovamento costituzionale; non mettersi di traverso. Cioè, fare in modo che la riforma sia “di tutti”, non solo del centrodestra: un pensiero agli antipodi di quello che sembra sguazzare nella testa della Schlein; la quale insiste sulla tesi, onestamente inspiegabile, che la Meloni con la riforma vuole dare più stabilità al suo governo; ma come? Oggi, con una legge che entrerà in vigore tra anni? Assurda cogitazione. Saranno stabilizzati i futuri governi, non questo. Perché allora Meloni vuole la riforma? Perché si fa così nelle revisioni serie che modificano le Costituzioni: legiferare senza alcuna incidenza sul sistema politico vigente, ma su quello successivo; per un futuro che probabilmente presenterà, nella logica dell’alternanza, altri rapporti di forza, maggioranza e opposizione attuali a parte inverse, magari con una gabinetto di altro colore, scaturito dalle prossime elezioni politiche: é la posizione più corretta. Si vedrà: chi può dirlo? E allora? Che c’entra il dibattito sulle riforme costituzionali con la volontà di solidificare l’attuale compagine? Nulla.
M5S ricambi l’apporto di FdI al “taglio” dei parlamentari. Nel quinquennio precedente l’unica riforma della Carta – tutt’altro che soft – l’ha “fatta” il M5S, con i governi Conte, in modo decisivo col Conte 2: la riduzione dei parlamentari; che – con la legge costituzionale 1/2020 – come sappiamo, sono passati da 630 a 400 deputati, da 315 a 200 senatori. Essa ha inciso in modo notevole sulla vita dei partiti e delle istituzioni. Potremmo dire che ha cambiato anche l’equilibrio tra i poteri: non c’è più il rapporto numerico tra la composizione del Governo, rimasta inalterata, e quella del Parlamento. FdI, guidata da Meloni, ha votato a favore del provvedimento e così nel referendum che si è svolto il 20 e 21 settembre del 2020. Ovvio : perché ci credeva. Tanti non sono certi che sia stata una buona idea ghigliottinare la rappresentanza. Ma è altra questione. Ciò che mi interessa fare notare è che il partito dell’attuale premier, allora all’opposizione, non si è posto il problema se quella legge avrebbe allungato la vita del governo giallorosso in carica. Se gli avrebbe attribuito dei “vantaggi”. L’ha votata e basta. Non sarebbe il caso di ricambiare questa posizione non pregiudiziale? Che ne dice, Presidente Conte?