Emanuela Orlandi e la prova regina del Dna

Quando vengono trovati dei reperti ossei, come quelli ritrovati  nella Nunziatura apostolica   di via Po 27 a Roma, per identificare la persona è necessario estrapolare il Dna e poi compararlo. Ma non è detto che sia un’operazione semplice, né che il Dna si possa trovare sempre.

Ad avvertire dell’eventualità è Alessandra La Rosa, genetista forense della polizia scientifica. Se il Dna delle ossa è ‘totalmente deteriorato’ c’è il rischio di un ‘risultato zero’, ovvero nessun Dna comparabile.

L’esperta spiega poi le tappe che si seguono per cercare di arrivare a un risultato: ‘Su delega dell’autorità giudiziaria si procede prima alla pulitura delle ossa, poi all’estrapolazione di un profilo genetico (operazione non sempre possibile), poi alla comparazione con il profilo genetico della persona scomparsa, se è stato estrapolato da oggetti in uso esclusivo, o con il profilo genetico dei familiari, preferibilmente genitori ma anche fratelli’.

L’estrapolazione del Dna dalla matrice ossea ha bisogno di più passaggi, rispetto a un reperto ‘regina’ come a esempio i mozziconi di sigaretta o tracce ematica – spiega La Rosa – Il primo passaggio è la pulizia dell’osso, per eliminare contaminazioni si procede all’abrasione per togliere gli stati superficiali, poi si procede alla frantumazione e polverizzazione, procedimenti delicati perché le temperature possono alterare le tracce di Dna e degradarlo.

Poi si procede alla “estrapolazione del Dna attraverso l’uso di resine e reagenti chimici, poi viene quantificato e tipizzato”, cioè viene identificato il Dna di quelle ossa.

Dna che verrà poi comparato. Ma non sempre – avverte la genetista – è possibile avere un Dna dalle ossa la possibilità di successo dipende anche dalle condizioni di conservazione dell’osso, elevate temperature ed elevata umidità possono inficiare l’estrapolazione del dna in maniera assoluta. Se il dna è degradato il risultato è zero, ovvero nessun profilo genetico da comprare.

 Il rischio di risultato zero esiste – insiste la genetista – e aumenta nel caso di ossa mal conservate all’aperto, sotto al sole, che hanno subito attacchi da parte di batteri e funghi che hanno rosicchiato Dna all’interno della matrice ossea. Il passare del tempo è un fattore importante ma si può ottenere un risultato da un osso conservato 30 anni in condizioni perfette e non da un osso datato 5 anni fa in condizioni pessime. Ad esempio la sepoltura semplice nel terreno è una condizione pessima a causa dei microarganismi, in una bara ben sigillata ovviamente, il tempo non è un fattore determinante.

Ci vogliono sette-dieci giorni per ottenere un profilo genetico, ulteriori in caso di esito positivo per la comparazione con i profili familiari. Ragionevolmente in totale una ventina di giorni. E se il risultato è zero? “Si ricomincia da capo, con un nuovo campione, provando altri reagenti e tecniche che massimizzino l’estrazione del dna, è un procedimento che può richiedere l’esame di più di un campione”.

Ma – conclude la genetista forense – se il dna è completamente degradato non c’è nulla che si possa fare.

Per le persone scomparse esiste la Banca dati nazionale del dna(Bdn dna) che ha una sezione ad hoc per l’identificazione degli scomparsi in cui si raccolgono i profili genetici dei consaguinei oppure i i profili diretti estrapolati da oggetti in uso esclusivo alla persona. La banca dati ha anche una sezione criminalistica che raccoglie i profili genetici prelevati da scene del crimine e li confronta con i profili genetici estrapolati da arrestati e fermati, contenuti nell’archivio Afis, che in questo caso vengono analizzati da un punto di vista genetico dal laboratorio centrale del Dap.
La banca dati è in funzione da gennaio dello scorso anno ed è in corso l’archiviazione della mole di dati delle tracce analizzate nei vecchi processi penali e raccolti da anni con il lavoro delle forze di polizia per gli scomparsi.

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