Gli abitanti di Turmi, cittadina polverosa nella Valle dell’Omo, al Sud dell’Etiopia e al confine con il Kenia, lo chiamano “hospital” e gli danno una grande importanza. Che di fatto ha, visto che è l’unica struttura, nonostante sia fatiscente e in parte incompiuta, in grado di dare una assistenza, con una vera e propria sala operatoria, alle tribù di pastori semi nomadi e contadini che vivono nel raggio di qualche centinaio di chilometri: gli Hamer e i Benna, i Dasenech e i Karo i Male e anche quelli che arrivano oltrefrontiera. All’ingresso un grande striscione per testimoniare che in quei padiglioni sono passati “Coregroup” con il ‘Polio project’ e “Amref Health Africa”.
Padiglioni di proprietà del governo etiope e che ospitano un Centro che si occupa principalmente della salute materno-infantile. Si tratta di un presidio sanitario, al quale comunque si rivolgono un po’ tutti nei dintorni, che tra l’aprile 2016 e il marzo 2019, grazie a un progetto di Medici con l’Africa Cuamm, il sostegno della Cooperazione Italiana e il lavoro di personale locale, ha avuto qualche risultato concreto: primo fra tutti, va detto, i parti assistiti nella struttura sono aumentati. Ma adesso tutto ciò rischia di essere vanificato. A lanciare l’allarme è stato nelle scorse settimane Binyam Kebede, uno degli operatori che, come lui stesso ha specificato, parla a nome dei responsabili.
“Manca il personale, le attrezzature e soprattutto i farmaci”, ha spiegato raccontando di come la situazione sia davvero critica e preoccupante. Tra medici, chirurghi, anestesisti, ostetriche, ferristi, infermieri e addetti alle pratiche amministrative, “siamo una trentina. Mediamente abbiamo un afflusso di 90/100 persone al giorno – ha aggiunto – e ancora di più il lunedì, quando c’è il mercato settimanale”. Dai villaggi arrivano in molti nella cittadina per vendere i loro prodotti e ne approfittano per ricevere cure di cui hanno bisogno: non solo mamme e bimbi ma anche uomini che lavorano nei campi e pastori. “Capita ormai spesso che rimandiamo indietro i pazienti”, ha sottolineato. Anche l’attività, svolta in passato, di girare nei villaggi non solo per fare informazione e prevenzione ma anche, laddove si presentano le urgenze, per garantire la prima assistenza e il trasporto all’Health Center, è molto difficoltosa: “Abbiamo una sola ambulanza e ne avremmo bisogno almeno 4 o 5” con ovviamente autisti e meccanici.
Non abbiamo medicine sufficienti rispetto al numero di malati. Mancano per esempio gli antibiotici per curare le infezioni come quelle dovute all’acqua o altre frequenti tra la popolazione. Lo Stato assicura solo le medicine per curare la malaria e la Tbc mentre c’è preoccupazione per la recrudescenza dell’Hiv dovuta al fatto che dopo è stata abbassata la guardia”. Anche i finanziamenti sono scarsi tant’è che i lavori di ampliamento dell’ ‘hospital’ si sono fermati, come dimostrano i padiglioni non terminati. “Sono arrivati fin dove hanno potuto, lo stato è in deficit”.
Il personale, inoltre, non riesce a tenersi aggiornato ma, pure sotto questo aspetto “tutto è lento perché dipende dal budget. E poi fino a due anni fa arrivavano i medici italiani, della Cuamm, ma ora per la crisi non vengono più”. In effetti spiega Fabio Manenti uno dei medici del Cuamm, referente per l’Etiopia “quella zona è ‘difficile’. E’ molto remota, lontana da Addis Abeba. Sono terre ai margini del paese dove vivono popolazioni poco integrate con il sistema e dove viene mandato personale sanitario locale poco motivato. Dire però che è da 2 anni che noi italiani siamo assenti è un po’ esagerato”.
Manenti ha tenuto a spiegare che il progetto che riguarda il “Turmi Health Center” e altre strutture vicine nella regione del South Omo portato avanti in collaborazione con il Governo dell’Etiopia, è stato chiuso a marzo del 2019 e fino allora c’è stato “un supervisore”. “Ora ne sta partendo un altro con il personale locale che sarà maggiormente controllato da noi – ha continuato – e che, per Turmi, prevede, oltre a una rete con i piccoli centri vicini per gestire le emergenze e i parti cesarei, un’osterica in più, un tecnico di chirurgia e un ambulanza con tanto di copertura dei costi”. Professionisti etiopi assunti dal sistema sanitario pubblico dello Stato africano e che, come tutti coloro che lavorano nelle strutture dove Cuamm con il supporto della Cooperazione Italiana,”noi cerchiamo di addestrare, di educare e di responsabilizzare nel tentativo di cambiare la loro mentalità”.
Mancano i farmaci? “Il nostro progetto – ha proseguito il medico – non prevedeva tutti i medicinali e quelli che hanno ricevuto nel tempo avrebbero dovuto venderli ai pazienti per poi riacquistarne di nuovi. Invece non è andata così. Quello dei medicinali è uno dei grossi problemi della governance” di questi presidi. Basti pensare, ha fatto notare Manenti, che il Governo dell’Etiopia nel 2016 spendeva, per le cure, 7 dollari pro capite all’anno e “noi abbiamo aggiunto 2 dollari. E’ molto poco lo so ma è sempre qualcosa. Per questo siamo sempre alla ricerca di finanziamenti ma facciamo davvero fatica”. Sono terre al confine del mondo.