Il caso Banca Etruria resta incandescente e vede il Pd e il M5s scontrarsi sulle presunte connivenze del governo tramite il sottosegretario Maria Elena Boschi. E dal Nazareno arriva un nuovo attacco frontale alla Banca d’Italia sulla quale emerge l’inenarrabile, come confida Renzi ai suoi. Via Nazionale è accusata di non aver vigilato e poi tentato, senza successo, un’operazione di aggregazione di Etruria con la Popolare di Vicenza nel 2014, anch’essa in difficoltà. Una mancata fusione che portò poi al commissariamento dell’istituto aretino a inizio 2015 mentre Vicenza si rivolgeva, invano, a Veneto Banca. Ricostruzione respinta dalla Banca d’Italia che dice di non aver mai ‘sostenuto le nozze’ con Vicenza. La scintilla che ha riattivato l’incendio sul tema bancario arriva dall’audizione del procuratore di Arezzo Roberto Rossi alla Commissione d’inchiesta sulle banche, al termine del quale il presidente del Pd Matteo Orfini è lapidario: ‘Emerge la vera responsabilità che è di Banca d’Italia e si sgretola il castello di sciocchezze’, mentre Carla Ruocco (M5s) parla di ‘conflitti di interessi e omessa vigilanza’.
Ma i Cinque stelle avvertono: ‘Il Pd non si sogni di scaricare tutte le responsabilità su via Nazionale. Sono surreali le esultanze dei renziani in queste ore’. Le cinque ore di audizione vanno al di là dell’inchiesta per bancarotta di competenza di Arezzo e si caratterizzano per continue secretazioni dei lavori disposte dal presidente Casini, specie quando si affrontano i documenti che riguardano la Banca d’Italia e le comunicazioni con Etruria.
Per la Procura conta esclusivamente chi ha firmato le delibere di finanziamenti allegri, concentrate peraltro nel 2008-2010 quando Boschi ancora non era in consiglio. Negli organi della banca, poi, Boschi non c’era e quindi non vi sono rilievi penali. Ma è su un altro aspetto che Rossi fa scalpore. Dalla lettura delle carte, il procuratore non può far a meno di sottolineare come avesse trovato ‘un po’ singolare’ che la Banca d’Italia avesse considerato la Popolare Vicenza, già oggetto di ispezioni critiche, quel partner di ‘elevato standing’ raccomandato a fine dicembre 2013 in una lettera di Visco ai vertici.
La banca guidata da Zonin, seppure non fosse in fallimento, aveva criticità di governance, di crediti e anche le ‘azioni baciate’, un quadro che ricordava quello di Etruria. Certo Bankitalia nella comunicazione del 2015 non indicava Vicenza come candidato ideale ma solo come ‘giuridicamente rilevante’ e l’unico ad aver fatto un’opa (1 euro per azione) malgrado la ricerca degli advisor come Mediobanca. Più volte Via Nazionale ha negato recisamente di aver indotto o favorito il matrimonio Arezzo-Vicenza e poi Vicenza-Treviso che naufragarono per mancati accordi fra le parti.
Fra le forze politiche l’impressione quasi unanime è che Banca d’Italia abbia avuto un ruolo di regia finito male. Il capogruppo di Fi Renato Brunetta, più benevolo di molti suoi colleghi, parla di ‘paternalismo’ di Banca d’Italia attenta più alla stabilità che alla trasparenza. Si vedrà così la replica di Banca d’Italia. Oltre ad ascoltare nuovamente il responsabile della vigilanza il 12 dicembre, centrale sarà l’audizione del governatore Ignazio Visco (e anche quella del ministro dell’economia Padoan) visto che la materia andava al di là della vigilanza e investiva il direttorio e lo stesso numero uno di Palazzo Koch. E sullo sfondo rimane poi l’audizione del sottosegretario Boschi e un sui eventuale confronto con l’ad di Unicredit Ghizzoni.