A quali condizionalità è legato l’accordo europeo di luglio 2020 che ha portato alla approvazione del Fondo per la Ripresa (Recovery Fund)? Come potrà il mondo dell’economia reale, delle imprese e del lavoro, utilizzare al meglio questa grande opportunità costruita a livello comunitario? Sono domande che vengono spontanee perché nei tanti commenti, giustamente positivi, su questa importante iniziativa è difficile registrare un’attenzione sufficiente e approfondita agli indirizzi strategici a cui la Ue ha legato le politiche di ripresa. In sostanza, ciò che sembra scarsamente valutato è che il Fondo per la Ripresa non è uno strumento isolato, a sé stante, rispetto al contesto delle politiche europee di sviluppo; ma, al contrario, è parte integrante di tali politiche, ne segue gli indirizzi e le logiche, ne riflette le condizionalità.
Se non si ha chiaro questo passaggio e non si mettono gli operatori economici nelle condizioni di essere adeguatamente informati e di comprenderne la portata, si corre il rischio reale di non trovarsi preparati a sufficienza nel momento in cui i finanziamenti del Fondo saranno concretamente messi a disposizione. Il Fondo per la Ripresa, per il massimo della chiarezza, è legato agli obiettivi strategici ed alle politiche che fanno riferimento al Green Deal europeo ed alla “Strategia annuale di crescita sostenibile 2020” presentati dalla Commissione Europea lo scorso dicembre 2019, cioè poco prima del blocco per la crisi pandemica. Documenti con i quali da un lato la Ue ha cercato di rispondere alle sollecitazioni dell’Onu per una accelerazione delle iniziative di correzione dell’attuale modello di sviluppo al fine di evitare “danni irreversibili” al nostro sistema comune (GSDR, 2019) e, dall’altro, di imprimere una svolta all’attuale sistema produttivo europeo per orientarlo sulla qualità piuttosto che sulla quantità dello sviluppo e recuperare in tal modo anche un ruolo guida a livello mondiale nelle politiche per la sostenibilità.
Questa strategia europea, che punta ad accelerare la duplice transizione “verde” e “digitale” del sistema produttivo comunitario, ha preso corpo ed è stata ben definita in una serie di documenti presentati e in parte approvati proprio nel periodo della chiusura generale causata dalla diffusione della pandemia; esattamente nei mesi di febbraio-marzo, in concomitanza con il Consiglio europeo che ha avviato il confronto sul Fondo per la Ripresa. Quali sono questi documenti? Tra i principali si segnalano, ad esempio: il “Piano europeo di investimenti per il Green Deal – EGDIP”, (14 gennaio 2020), rafforzato dalla definizione degli strumenti operativi, il Just Transition Mechanism e il Just Transition Fund; la “Strategia europea sui dati” (del 19 febbraio 2020); la proposta di una “Legge europea per il clima” (del 4 marzo 2020); “Una nuova strategia industriale per l’Europa”, “Una strategia per le Piccole e Medie Imprese (SME) per una Europa sostenibile e digitale”, “Il Piano di azione per il Mercato Unico” (tutti provvedimenti del 10 marzo 2020); il “Piano di Azione per l’Economia Circolare” (dell’11 marzo 2020), “L’ Agenda sulle competenze per una competitività sostenibile” (del 1° luglio 2020).
Forse sarebbe bene che gli operatori economici ne prendessero buona nota e ne leggessero bene il contenuto perché in questi documenti sono delineate le condizionalità che dovranno essere rispettate anche nell’utilizzo delle risorse finanziarie messe a disposizione dal Fondo. Nella strategia sulla nuova politica industriale, ad esempio, la Ue chiede agli Stati di rivedere le regole della concorrenza entro il 2021, di garantire dei mercati aperti; chiede alle industrie siderurgiche di adottare processi produttivi a emissioni zero di carbonio; alle industrie chimiche di trovare prodotti a rischio zero per la salute delle popolazioni; ai servizi del lavoro di promuovere politiche attive di qualificazione della manodopera («nei prossimi cinque anni 120 milioni di lavoratori europei dovranno essere riqualificati»). Le trasformazioni “verdi” dovranno coinvolgere tutti i partecipanti ad una determinata catena di produzione di valore, dalle piccole imprese alle grandi società, superando una frammentazione ritenuta eccessiva e spesso controproducente. Analoghi impegni e condizionalità di forte impatto sono stati definiti nella strategia sulla economia circolare dove si parla di “prodotti sostenibili”.
In pratica, i finanziamenti e gli incentivi saranno a disposizione di quelle imprese che sapranno innovare processi e prodotti secondo il principio complesso della sostenibilità, dimostrando l’impegno concreto a passare da un’economia “lineare” (produco-consumo-getto), appunto, ad un’economia circolare (produco-consumo-riutilizzo); e le indicazioni della Ue, in questo caso, non sono di carattere generale ma entrano nello specifico indicando una prima serie di prodotti sostenibili: Elettronica e TIC, Batterie, Autoveicoli, Imballaggi, Plastica, Prodotti tessili, Costruzione e edilizia, Prodotti alimentari, Acque e nutrienti. Una prima serie – va aggiunto – che sarà completata il prossimo anno. Da segnalare, ancora, a titolo di esempio, gli impegni delineati per gli Stati al fine di promuovere la diffusione e il rafforzamento delle piccole e medie imprese. Tra i tanti indirizzi indicati in questa strategia specifica risalta, ad esempio, la portata dei provvedimenti per la semplificazione legislativa. In questo àmbito la Ue si impegna a verificare l’adeguatezza e l’efficacia della propria legislazione sulla base del principio “one in, one out” (OI-OO); un atto di documentazione in entrata e un atto in uscita per la massima semplificazione nel rapporto tra il cittadino, l’imprenditore e l’istituzione comunitaria. Ma l’applicazione dello stesso principio e delle relative pratiche è richiesto anche agli Stati membri.
Come è richiesto di eliminare i ritardi nei pagamenti, in particolare alle piccole e medie imprese (solo il 40% delle imprese della Ue è pagato puntualmente), di assicurare a tali imprese la partecipazione agli “appalti verdi” e ad un adeguato sistema di informazioni e dati. Un ulteriore elemento da tener presente riguarda il ruolo di motore dello sviluppo che la Ue ha affidato alla Banca Europea degli Investimenti-BEI con un fondo di 200 miliardi da impegnare fin da subito a favore del mondo imprenditoriale. Ottima scelta: ma in base a quali princìpi e criteri opera la BEI? Anche a questo riguardo, sarebbe importante che gli operatori economici prendessero una attenta visione dei modelli di sostenibilità economica, ambientale e sociale utilizzati dalla BEI per la concessione dei finanziamenti a sostegno dei progetti di sviluppo. In effetti, si tratta di modelli molto condizionanti e vincolanti, soggetti ad un continuo aggiornamento e monitoraggio, per indurre l’impresa a percorrere il nuovo cammino della qualità dello sviluppo. Ed è chiaro, come per le nuove strategie Ue sopra descritte, che anche nel rapporto con la BEI le grandi opportunità che essa offre saranno soltanto a disposizione di quelle imprese orientate ed attrezzate a rispettarne le codizioni. Da qui una riflessione conclusiva: la Ue con il Fondo per la Ripresa ha compiuto un passo definito come storico ed offre una grande opportunità; ma le condizionalità che ha delineato per coglierla richiederebbero quanto meno la organizzazione di un grande “Piano Informativo” destinato a imprese e lavoratori, con una mobilitazione concordata di servizi pubblici, agenzie, associazioni di categoria. Senza una diffusa, tempestiva conoscenza e consapevolezza di questo nuovo sistema europeo, il 2021 potrebbe riservare delle cocenti delusioni nella possibilità di utilizzo dei finanziamenti comunitari da parte degli operatori, i diretti interessati.
Marco Ricceri
*Segretario generale dell’Eurispes