«Gli occhi del mondo sono puntati su di noi», è quello che Giorgia Meloni ha affidato ai trentamila «fratelli d’Italia» riuniti in piazza del Popolo per la chiusura della campagna per le Europee. La premier diceva il vero visto che l’Italia è l’osservata speciale della tornata dell’8 e 9 giugno, visto che :l’architettura europea non potrà non passare dal coinvolgimento, e dal protagonismo di chi guida oggi l’Italia.
Chi ha il pallino a Bruxelles, ossia ai king maker del Ppe, dovrà avere a che fare con Giorgia Meloni e i suoi conservatori. Dunque col governo di destra-centro che ne rappresenta il motore. Le motivazioni sono di varia natura ma di certo il «pragmatismo» riconosciuto all’attuale guida italiana sui dossier più importanti (Ucraina, revisione del Green Deal, debito comune, energia) risulta la caratteristica più interessante – per chi pensa che l’Ue, per continuare ad esistere, debba assumere necessariamente un ruolo nel mondo multipolare.
Il vangelo del pensiero economico progressista italiano e, in chiaro, dalle parti del Pse: quella di un grande arco costituzionale proprio contro la destra e contro Meloni è stato sconfessato. Per chi conosce i meccanismi del Consiglio Ue e dell’Europarlamento – registra però una paura concreta e inevitabile a sinistra: quella di perdere centralità e forza decisionale nelle istituzioni comunitarie. La stessa che hanno già perso fra i rispettivi popoli. Proprio così: socialisti, verdi e radicali di sinistra invocano l’isolamento per l’Italia perché in realtà temono essi stessi di restare isolati per i prossimi cinque anni.
Certo, dipenderà pure dall’atteggiamento del Ppe: continuare ad assecondare lo status quo dell’asse franco-tedesco (gli egoismi di Scholz e la grandeur di Macron), dunque l’alleanza con la sinistra, con il rischio di consegnare nuovamente l’agenda ai nuovi Timmermans, alla lobby filo-cinese, ai decostruzionisti dell’identità europea o no. Non ci sarà spazio stavolta per atteggiamenti pilateschi: perché dall’altro lato, nel laboratorio italiano, è nato un “modello”. Un governo nazionale che ha abbracciato le famiglie delle destre europee innestandole in una visione che ha dimostrato – sul fronte energetico, sul contrasto all’immigrazione, sulla tutela del mercato interno, dell’agricoltura e del patrimonio nazionale e delle famiglie – di poter diventare alternativa.
Giorgia Meloni ha dimostrato che un’altra Ue è possibile. Espressione del meglio che l’Europa politica ha messo in campo: lo spirito solidaristico (smarrito) dei trattati costitutivi e i valori rappresentati dagli spiriti nazionali. Un’Europa che intende attrezzarsi per le sfide attuali innervando le proprie radici e la propria continuità, non abbandonandosi al nichilismo, all’autodafé per compiacere pericolosi esotismi politico-religiosi. Su questo la leader di Ecr e di FdI non accetta compromessi: consapevole, da un lato, che se ha ottenuto tanto con una piccola ma agguerrita pattuglia, stavolta potrà far valere a Bruxelles tutt’altro peso parlamentare. E consapevole, dall’altro, che il governo italiano e la sua agenda europea rappresenteranno in ogni caso un elemento di attrazione formidabile: trasversale nei mezzi (solo un esempio: fra i 14 Paesi che richiedono il modello Albania abbondano i socialisti) e performante negli obiettivi.
Meloni ai nastri di partenza è in modalità ‘vincente’ e tentare di escluderla da Bruxelles è una pia illusione, per gli avversari, e un boomerang per i potenziali alleati.
“Dalle elezioni europee che si terranno nei prossimi giorni “mi aspetto soprattutto due cose: rinforzare la democrazia e avere una nuova maggioranza di destra. Questa Commissione europea ha fallito sull’agricoltura, sulla guerra, sull’immigrazione, sull’economia, ora devono lasciare”, dice in un’intervista esclusiva al “Giornale” il premier ungherese Viktor Orban, secondo cui “rinforzare la democrazia significa eleggere una diversa Commissione da quella attuale che, da quando governo, è stata la peggiore”.
“Al tempo stesso serve una rinascita della destra in Europa, abbiamo un’opportunità storica per cambiare la maggioranza. I partiti di destra devono collaborare, siamo nelle mani di due donne (Giorgia Meloni e Marine Le Pen, ndr) che devono trovare un accordo”, sostiene Orban. Fidesz entrerà nel gruppo dei conservatori europei Ecr presieduto da Meloni? “Noi vogliamo aderire all’Ecr anche se siamo consapevoli ci siano temi che possono dividerci da alcuni partiti che ne fanno parte a cominciare dalla visione sulla guerra in Ucraina”, ammette il premier ungherese. Che risponde anche alla domanda se esista l’ipotesi di un’adesione al gruppo di Identità e Democrazia dopo l’uscita di Afd: “Abbiamo varie opzioni, anche l’ipotesi di un nuovo grande gruppo di destra europeo, la priorità è fare qualcosa di utile per l’Europa”.
E sull’ostracismo anti-sovranisti, Orban non ha dubbi. “L’Unione europea utilizza strumenti di ricatto, nei confronti dell’Italia lo fa con la leva economica e finanziaria a causa del vostro alto debito pubblico, nei nostri confronti con le politiche sul gender e l’immigrazione. È una questione politica, non c’entra niente il rispetto dello stato di diritto. Noi resistiamo, abbiamo strategie per difendere la nostra sovranità. Per l’Italia è diverso, senza Italia non ci può essere l’Unione europea ma noi siamo una nazione con 10 milioni di abitanti. La nostra lotta contro il federalismo di Bruxelles può però rappresentare un esempio per tante altre nazioni europee”.
“In Ungheria non sarebbe apprezzata una candidata che va in un altro paese a fare quello che ha fatto Ilaria Salis con motivazioni politiche e ideologiche, non so in Italia…”, taglia corto Orban sulla candidata della sinistra detenuta a Budapest. “Con Giorgia Meloni ci conosciamo da molti anni, la sostenevo già quando era leader di un partito al 4%. La prima volta che la incontrai pensai: farà strada perché ha due doti più importanti per chi fa politica, carattere e personalità. Inoltre è una donna cristiana che ama la propria nazione, è quello che ci vuole. Certo, ora che è al governo ha maggiori responsabilità ma nell’anno e mezzo di governo ha fatto molto bene ed è rispettata in Europa, lo vedo perché sono anche io nel consiglio europeo. Ora ha un ruolo importante anche in Europa e molto dipenderà dalle sue decisioni”.