Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, la recensione di Loredana Margheriti su ‘Fame mia-quasi una biografia’ in scena al Brancaccino di Roma
Il grande pubblico ha conosciuto Annagaia Marchioro grazie alle sue partecipazioni nel programma televisivo “La tv delle ragazze”, a teatro risulta ancora più coinvolgente e padrona della scena, sicura nel suo monologo di oltre un’ora liberamente ispirato al libro della scrittrice belga Amélie Nothomb “Biografia della fame”. Fame mia – quasi una biografia, è uno spettacolo che vuole intrattenere lasciando però degli spunti riflessivi, la Marchioro guida il pubblico in un percorso che dalle grandi risate lascia l’amaro delle consapevolezze.
La scena è animata da una tavola disordinatamente apparecchiata, con un vecchio centrino di pizzo ricorperto da molte mele rosse rovesciatevi con disordine, pochi gli elementi ma molto evocativi. Partendo fedelmente dal testo della Nothomb, la protagonista affronta il tema dell’assenza di fame che come dice la scrittrice “è un dramma al quale nessuno ha mai rivolto la propria attenzione. Come quelle sindromi rare alle quali la ricerca non si interessa, così la non-fame non rischia di suscitare curiosità”.
Di fame si parla, di quella biologica, atavica, del bisogno di appagarla senza controllo o di controllarla senza venirne appagati. Di fame però anche come necessità di ricchezza, di accumulo incondizionato e inconsapevole a discapito degli altri. La fame è qualcosa con cui ognuno di noi è costretto a rapportarsi, anche a prescindere dalla propria volontà, con più o meno amore, con più o meno gusto, sicuramente partendo dalla necessità che può presto trasformarsi in qualcosa di tranquillizzante e curativo, di ludico e terapeutico. Il cibo inteso come consolazione dei propri mali, foriero di benessere psico-fisico, fino al baratro poi dell’odio per se stessi e del malessere che conduce ad un rifiuto della vita.
Annagaia Marchioro si nutre di sensazioni ed emozioni, ma anche di cibo vero e proprio, un’alimentazione bulimica che si rispecchia nel testo, il monologo è serrato, con sequenze brillanti, a tratti esilaranti, che diventano in alcuni momenti riflessive e commoventi. Dà prova delle sue doti attoriali interpretando una sequela di personaggi, caratterizzati, significativi. La nonna Lucia, saggia, popolare, unico personaggio che conduce alla verità; Suor Rosa, macchietta con una passione non celata per l’agiografia più cruenta; Gioia, la compagna di classe procace, comunicativa e partenopea; la famiglia del pranzo della domenica in cui ogni spettatore ha potuto ritrovare personaggi a lui noti.
E fame sia, come bisogno emotivo e non solo fisico, una ricerca di empatia con il cibo consolazione delle mancanze di una vita troppo spesso orientata alla ricerca del superfluo, che però alle lunghe si scontra con mancanze più profonde, mancanze che si sopiscono, si attenuano, ma mai si cancellano.
Scrive Amélie Nothomb: “Ma esiste una fame che è solo di cibo? Esiste una fame del ventre che non sia indizio di una fame più generalizzata? Per fame, intendo quel buco spaventoso di tutto l’essere, quel vuoto che attanaglia, quell’aspirazione non tanto all’utopica pienezza quanto alla semplice realtà: là dove non c’è niente, imploro che vi sia qualcosa.” Una vita senza appetiti è una vita senza scopi.
La pièce si conclude con un intenso ed intimo momento che porta in luce l’essenzialità: “…ho fame delle cose più strane, fame di eccessi, di sbagli, di tanti se stessi, di cavalcare le strade senza cornicioni, di giorni buoni e di giorni meno buoni, di passioni da nulla e di gandi occasioni, di mostri, di paure e di abbandoni, e quando il buio si affaccia, quando torna a ferire, ho fame di darmi tregua e poi spazi…”
Parlare di tutto ciò con riflessiva leggerezza non è da tutti, ma la Marchioro ci riesce in maniera sorprendente, i momenti di forte ilarità e apprezzamento nel pubblico risultano innumerevoli. Lo spettacolo ha ricevuto vari riconoscimenti come il premio “L’alba che verrà” nel 2016 e il premio “Giovani realtà del Teatro” nel 2015 dell’Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine.
Fame mia – quasi una biografia, di e con Annagaia Marchioro, in collaborazione con Gabriele Scotti, allestimento scenico di Maria Spazzi, costumi di Erika Carretta. Regia di Serena Sinigaglia. Prodotto da Agidi.
Al Brancaccino di Roma fino a domenica 27 gennaio, assolutamente da non perdere!
Loredana Margheriti