“C’era una volta un uomo che fece un patto col diavolo.”
Potrebbe sussumersi in questa frase la storia del Faust di Goethe, che tra l’altro trasse ispirazione da un personaggio realmente vissuto tra la fine del Quattrocento e la fine del Cinquecento in Germania: Johannes Georg Faust, un ciarlatano che millantava di saper praticare le arti magiche e di poter evocare il contenuto di opere mai rinvenute di autori come Platone e Aristotele.
Ma quella frase così lapidaria ed essenziale, quel patto tra Faust e Mefistofele, nasconde dei coinvolgimenti esistenziali e filosofici che sono costati a Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) sessant’anni di duro e tormentato lavoro, infatti egli scrisse il suo monumentale poema dal 1772 al 1832.
La versione messa in scena dal regista Leonardo Manzan, tra l’altro giovanissimo nato a Roma nel 1992, si concentra prevalentemente sul Prologo sul Teatro, e si apre con una scena che richiama l’allestimento per una conferenza, ma che potrebbe al tempo stesso configurarsi come un dibattito televisivo, dove l’impresario, il drammaturgo e l’attore discutono su quali siano gli ingredienti giusti per fare uno spettacolo di successo.
“Io vorrei proprio piacere a tutti (…) Come fare perché tutto sia nuovo, vivace
E, pur essendo profondo, diverta?” dice per esempio l’impresario, ricordandoci che l’unico vero problema di un teatrante è come portare il pubblico in sala.”
Attraverso un “coinvolgimento ad arte” del pubblico che crea momenti di spaesamento e di interdizione in sala con il gruppo dei sei giovani interpreti – Alessandro Bandini, Alessandro Bay Rossi, Chiara Ferrara, Paola Giannini, Jozef Gjura, Beatrice Verzotti, prende le mosse l’attualizzazione del Faust a circa due secoli di distanza dalla sua stesura conclusiva.
Gli autori si chiedono quindi quale sia il ruolo del teatro nella società contemporanea. Lo fanno attraverso il dubbio esistenziale di Faust che deve mettere in scena se stesso ed il dramma esistenziale di Mefistofele che ha perso appeal e credibilità agli dello stesso Faust.
Mefistofele è ormai divenuto inutile.
Il linguaggio scelto è quello della parodia che dà vita a scene surreali e comiche in cui la bravura degli attori si espleta pienamente in quasi due ore di spettacolo ininterrotto, costituito, dall’alternarsi di canti, di prose serie e seriose, di esibizioni al limite del clownesco. Le riflessioni che scaturiscono nello sviluppo della storia goethiana e al richiamo a Margherita e ad Elena di Troia, riguardano sia la cancel culture, che la violenza di genere, sia nel sottinteso verbale, che nella reiterazione del mito. Lo spettacolo si conclude col congedarsi dei personaggi dietro il sipario che questa volta paradossalmente non divide il pubblico dal palco, questa volta il sipario è sullo sfondo della scena.
Non c’è quindi una conclusione tradizionale con il sipario che si chiude sulla scena e sugli attori.
Questa volta, la versione del poema, si conclude con la sparizione dei personaggi nel buio della storia.
Questo Faust di Leonardo Manzan e Rocco Placidi è stato tratto da Faust I e II di Johann Wolfgang von Goethe.
Interpretato da: Alessandro Bandini, Alessandro Bay Rossi, Chiara Ferrara,
Paola Giannini, Jozef Gjura, Beatrice Verzotti.
Regia di Leonardo Manzan.
Scene di Giuseppe Stellato.
Costumi di Rossana Gea Cavallo.
Music and Sound di Franco Visioli.
Light designer Marco D’Amelio.
Fonico Filippo Lilli, datore luci David Ghollasi.
Macchinista Giuseppe Russo.
Assistente scenografa Caterina Rossi.
Aiuto regia Virginia Sisti.
FAUST Al Teatro Vascello di Roma, via G. Carini 78.
dal 10 al 22 dicembre dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
Roberto Cavallini