20080707 NAPOLI -CRO- Sciopero generale dei mezzi pubblici ANSA/CESARE ABBATE/

Figlia ex ferroviere: “Così l’amianto ci ha portato via il nostro angelo”

Strage di ferrovieri in Italia. Quasi 30 mila mesoteliomi, ad oggi, censiti dall’Osservatorio Nazionale Amianto (Ona), 21.463 dal 1993 fino al 2012, secondo il V° Rapporto Mesoteliomi pubblicato dall’Inail. E’ la punta dell’iceberg della strage provocata dall’amianto, che miete 6.000 vittime ogni anno, con un trend purtroppo in continuo aumento.

Le Ferrovie hanno fatto tale uso di amianto da determinare un vero e proprio fenomeno epidemico (più di 650 mesoteliomi: sempre la punta dell’iceberg, potendosi stimare in oltre 2.000 i decessi per patologie asbesto correlate causate dall’esposizione professionale a polveri e fibre di amianto).

Soltanto a metà degli anni ’80 hanno cominciato ad affrontare il problema del loro abnorme utilizzo di amianto. Ci sono stati appalti per la scoibentazione delle carrozze ferroviarie, dall’Isochimica (Avellino), alla FIREMA (Caserta), dalla AVIS (Castellammare di Stabia), fino alla Officine Stanga (Padova), e i loro dipendenti non sono stati risparmiati dalle fibre di amianto, con ulteriore carico di morte, lutti e tragedie.

Ne sanno qualcosa anche le famiglie dei ferrovieri. L’Ona ha promosso più di 100 richieste di risarcimenti danni e sostenuto l’iniziativa di migliaia di ferrovieri, che hanno ottenuto il prepensionamento per esposizione ad amianto. Molti sono ancora in causa con l’INAIL, con l’INPS e con le stesse Ferrovie. Ci sono state anche delle condanne penali.

Rocco Addivinelo era, fino ad ora, una delle tante vittime. Un eroe civile sconosciuto, però sempre presente negli affetti della sua famiglia.

L’Osservatorio Nazionale Amianto racconta la sua storia e fa uscire dall’anonimato questa famiglia foggiana, distrutta dall’amianto.

Scampato ai bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiali, con i quali gli angloamericani hanno completamente raso al suolo la città Rocco Addivinelo è stato invece ucciso dalla fibre di amianto, con atroci sofferenze e con l’indifferenza delle istituzioni.

In questo viaggio per l’Italia, nell’inchiesta sulle morti di amianto nelle ferrovie, ci rechiamo a Foggia per acquisire direttamente le notizie e vedere con i nostri occhi l’effetto dell’amianto sulla vita umana.

Ci attende la Redenta sull’uscio di casa. Mostra molto di più della sua età anagrafica (71 anni). E’ vestita di nero, i capelli sono velati di bianco e gli occhi di pianto.

E’ rimasta vedova. Testimone vivente della morte del marito.

 

Per prima è la figlia Elisabetta a voler ricordare il padre. Le sue parole trasudano amore, distrutto e sconfitto dalle fibre di amianto.

Chi era suo padre?

“Mio padre era un lavoratore onesto. Si è spaccato le mani nell’azienda ferroviaria. Gli hanno fatto maneggiare l’amianto, mattina e sera, giorno e notte, e ha avuto come premio il mesotelioma che lo ha ucciso, mentre non è successo niente ai responsabili. E’ così in Italia e in Puglia in particolare. Siamo carne da macello, ingranaggi della catena che è finalizzata al profitto che ingrassa pochi e uccide molti. Per questo motivo ho deciso di impegnarmi insieme al presidente dell’Ona Ezio Bonanni. Certamente la nostra battaglia è persa in partenza. Tutto è contro le vittime dell’amianto. Gli enti pubblici, a iniziare dall’INAIL e dall’INPS e le ASL.

 

 

E’ stato il nostro angelo, e di certo continua ad esserlo dal cielo perché nel marzo del 2009 papà è morto per un mesotelioma pleurico, tumore devastante causato dall’ esposizione all’amianto che si manifesta anche dopo moltissimo tempo dall’ effettivo contatto. Nel suo caso, l’esposizione risale ai primi anni del 1970 quando lavorava come operaio per le Ferrovie dello Stato presso il deposito ferroviario di Foggia per circa un anno e mezzo”.

Quando inizia il vostro calvario?

“E’ il 2006 quando insorgono i primi sintomi; affanno, tosse, febbre inizialmente attribuiti e curati come bronchite. La salute di mio padre non migliora ovviamente e nel dicembre di quello stesso anno dopo una lastra al torace che evidenzia presenza di liquido nel polmone viene ricoverato d’urgenza all’ospedale statale di Foggia, sottoposto all’aspirazione, a una serie di esami compresa una biopsia che però ha esito negativo, persino a cure per tubercolosi e alla fine dimesso senza una diagnosi precisa. Nei mesi che seguono poiché i sintomi restano e il liquido si riforma diventa necessaria una visita specialistica più approfondita che viene effettuata presso l’ospedale San Camillo Forlanini di Roma dove, nell’ aprile del 2007, papà subisce l’intervento e gli accertamenti che forniscono la diagnosi di mesotelioma e scopriamo la relazione tra questa malattia e l’amianto. Come da prassi l’ospedale segnala il caso di mio padre, dice ancora, agli enti competenti della regione di appartenenza e lo affida alle cure di un oncologo per la chemioterapia con l’obiettivo di arginare il più a lungo possibile il tumore per cui non esiste una speranza di remissione. Il peggioramento arriva nel 2009, la malattia ha compromesso altri organi e altre funzioni. Papà, che ha avuto comunque un periodo di sopravvivenza superiore alla media, è debilitato, i valori delle analisi sono sempre più alterati, diventa inevitabile un nuovo ricovero all’ospedale di Foggia dove ogni tentativo terapeutico risulta però inutile e nell’arco di pochi giorni muore”.

Alcuni mesi prima del decesso l’INAIL ha riconosciuto come malattia professionale la sua patologia stabilendo anche il versamento di una somma ma ciò che la sua famiglia è intenzionata ad ottenere è un risarcimento dalle Ferrovie in quanto a nessun altro periodo lavorativo può imputarsi l’esposizione all’amianto causa della morte del loro caro.

“Molti colleghi di mio padre hanno sviluppato lo stesso tumore in momenti diversi della vita e con lo stesso tragico esito”, conclude Elisabetta.

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