L’immagine degli italiani alle prese con l’uso dei propri soldi, restituita dal Rapporto 2017 della Consob, è sconfortante. Ma spiega con chiarezza la ragione che ha moltiplicato le storie di ‘risparmio tradito’ di cui si sono riempite le cronache (bond subprime rifilati a vedove e pensionati, prestiti concessi dietro acquisto di azioni dell’istituto, e via dicendo): una profonda, endemica mancanza di educazione finanziaria. Sconosciute le regole base per gestire il denaro, a cominciare dal profilo di rischiosità dei diversi strumenti; ignorato il metodo di un processo decisionale per arrivare a investire; sopravvalutata la propria competenza.
D’altra parte occuparsi delle proprie finanze dà l’ansia a una persona su due. Sarà forse per questo che l’industria del settore, cioè le banche, viene vista con un certo sospetto: più della metà degli intervistati non ha fiducia negli intermediari finanziari, tant’è che preferisce lasciare i propri averi sotto forma di deposito, oppure investita in titoli di Stato e magari fondi obbligazionari e solo dopo vengono le obbligazioni bancarie italiane e i fondi azionari, ma spesso conservando un’idea molto vaga di quale sia il rischio reale di simili forme di investimento.
Un vero rompicapo per le banche e pane quotidiano dei consulenti bancari, che infatti non sono una categoria che rifulge, surclassati come sono nel cuori degli investitori da suggeritori di altra provenienza, amici, colleghi e parenti.
Dei consulenti, comunque, non è tanto la competenza che si apprezza, quanto la disponibilità e l’attenzione, la qual cosa può forse spiegare perché oltre il 40 per cento di chi li utilizza non ha idea di come essi vengano remunerati per il servizio prestato, e anzi non è disposto a pagarli affatto.