La legge elettorale approda in Aula alla Camera e lo scontro finale sull’Italicum va ufficialmente in scena. Uno scontro che vede ai ferri corti la maggioranza di governo e tutto l’arco delle opposizioni e che continua a creare tensione anche nel Pd, dove l’eventualità di una fiducia sul testo, è l’avvertimento della minoranza Dem, rischia di acuire il logoramento interno al partito. E a dirlo è stato ieri Roberto Speranza, che dopo un lungo silenzio conferma il suo addio all’incarico di capogruppo e affonda: “la fiducia sarebbe una violenza vera e propria al Parlamento italiano”. Domani inizierà la discussione generale sul testo e ci sarà il primo snodo, quello delle pregiudiziali di costituzionalità e di merito, che saranno accorpate, già annunciate da FI. Il voto, salvo colpi di scena, dovrebbe tenersi martedì a scrutinio segreto mentre resta ancora in ‘stand by’ la decisione del premier Matteo Renzi di mettere la fiducia per superare il voto segreto. Più probabile, invece, che la fiducia venga messa sugli articoli del ddl. Ed è su questo punto che la minoranza Pd alza le barricate. “Io fino all’ultimo istante proverò a fare il possibile perché la fiducia non venga messa, perché creerebbe condizioni di vero logoramento al nostro interno”, rimarca l’ex capogruppo che, sulla scia di quanto affermato nei giorni scorsi da Pier Luigi Bersani, definisce sbagliato, da parte di Renzi, legare il destino del governo a quello dell’Italicum. Pronta la replica del renziano Ernesto Carbone: “Fermarsi ora perché la minoranza non vuole è irrispettoso nei confronti del partito”. Ma il tema nel Pd di Renzi, osserva Speranza, va oltre la legge elettorale. “Sono dell’idea che non debba esserci un partito della Nazione in cui c’è dentro di tutto e che, si allontana dal mondo del lavoro imbarcando pezzi di ceto politico del centrodestra”, spiega, mettendo sul piatto un altro punto di attrito tra renziani e minoranza. Minoranza che, sulla scelta del voto, resta divisa tra le posizioni di chi, come Rosy Bindi, per la quale porre la fiducia significherebbe tradire la vita democratica, o Alfredo D’Attorre che uscirà dall’Aula al momento della fiducia votando ‘no’ al testo, o come Ginefra o Damiano, che la fiducia la voteranno e chi, proprio come Speranza, al momento sceglie di non esporsi. E mentre Ap prosegue nel tentativo di mediare proponendo ai gruppi di non chiedere il voto segreto, e agli alleati di governo di non mettere la fiducia è invece netta la battaglia delle opposizioni. “Renzi fa delle pressioni inaccettabili, se cade il governo non finisce la legislatura”, tuona il capogruppo FI Renato Brunetta mentre ambienti azzurri si dicono non preoccupati del dissenso filo-renziano dei verdiniani. E mentre Sel definisce l’ipotesi fiducia un’aberrazione il M5S, con Alessandro Di Battista, si prepara ad azioni extraparlamentari perché il Parlamento è totalmente esautorato. L’Italicum è stato licenziato da Montecitorio il 14 marzo del 2014, è stato poi congelato per mesi al Senato, dove l’iter è ripartito solamente il 12 novembre scorso, venendo poi approvato da Palazzo Madama il 27 gennaio. La riforma prevede l’elezione dei deputati in 100 collegi che eleggono mediamente 6-7 parlamentari, con un premio di maggioranza alla lista che supera il 40% dei voti con 340 seggi su 630 o il ballottaggio tra i due partiti più votati se nessuno arriva a quella soglia. Sbarramento al 3% e capilista bloccati gli altri elementi fondamentali del testo. Nel caso in cui il testo venisse approvato dalla Camera, lo stesso varrebbe da luglio 2016. In caso di votazioni anticipate rispetto a questa data varrebbe il Consultellum: sistema proporzionale puro con preferenze su lunghe liste e grandi circoscrizioni e un vincitore certo che, in una fase storica così frammentata, rischia di non arrivare. Per cercare di comprendere cosa potrà succedere alla Camera è necessario disegnare due scenari diversi, con la discriminante della fiducia sul provvedimento. Senza fiducia il Governo, potenzialmente, rischia di arrivare ad oltranza con 80 scrutini segreti. Votazioni diurne, ma anche in notturna, con i numeri che sono dalla parte della maggioranza, 393 voti, di cui 310 del Pd, contro 237 sulla carta, ma con la tentazione di giochetti e trappole che apparirebbe troppo allettante per alcuni. Nel caso della fiducia si eviterebbero molte sorprese. Sei chiame in una giornata intera e certezza di voto positivo anche da una parte della minoranza del Pd. Zoggia e la Bindi hanno confermato che in caso di fiducia non voterebbero contro il Governo, idem per Speranza. Solo Civati, D’Attorre e forse Bersani, terrebbero dritta la schiena anche in caso di fiducia. Nel caso in cui il governo rassegni le proprie dimissioni al presidente della Repubblica, dimissioni che possono essere respinte e che quando vengono accettate sono accolte con riserva, lo stesso governo dimissionario rimane comunque in carica. L’attività del governo dimissionario è circoscritta all’ordinaria amministrazione perché il governo dimissionario può compiere gli atti di esecuzione delle leggi vigenti, ma deve astenersi da tutti quegli atti discrezionali e politici che, in quanto tali, possono e devono essere rinviati alla gestione del successivo governo. La nozione di ordinaria amministrazione ha comunque confini molto elastici e a volte il governo stesso si pone degli autolimiti, talora contenuti in direttive del presidente del Consiglio. Il governo dimissionario rimane in carica fin tanto che il successivo nuovo governo non presti giuramento e la procedura prevede che l’incaricato di formare il nuovo governo possa rinunciare all’incarico oppure sciogliere la riserva accettando l’incarico; in questo caso viene nominato il presidente del Consiglio con la firma e la controfirma dei decreti di nomina del capo del governo e dei ministri; la procedura prevede tre tipi di decreti: quello di accettazione delle dimissioni del governo uscente, controfirmato dal presidente del Consiglio nominato; quello di nomina del presidente del Consiglio, controfirmato dal presidente del Consiglio nominato, per attestare l’accettazione; quello di nomina dei singoli ministri, controfirmato dal presidente del Consiglio. Entro dieci giorni dal decreto di nomina il nuovo governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. La formalizzazione dell’apertura della crisi di governo determina l’arresto, alla Camera e al Senato di ogni attività parlamentare legata al rapporto con l’esecutivo: possono essere esaminati i soli progetti di legge connessi ad adempimenti costituzionalmente dovuti, ovvero urgenti e indifferibili. Si tratta, in particolare dei disegni di legge di conversione di decreti-legge; dei disegni di legge di sanatoria degli effetti di decreti-legge non convertiti; dei disegni di legge di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali e il disegno di legge comunitaria, quando dalla loro mancata tempestiva approvazione possa derivare responsabilità dello Stato italiano per inadempimento di obblighi internazionali o comunitari. Prima che la partita dell’Italicum entri nel vivo, le schermaglie a ‘bordo campo’ tra maggioranza e opposizione sono all’insegna della tattica. Il governo ha nuovamente fatto circolare la voce che di fiducie potrebbe metterne quattro e la minoranza, per tutta risposta, si riserva di chiedere una ventina di voti segreti, su altrettante proposte di modifica del testo, già approvato in prima lettura alla Camera poi modificato al Senato, e che proprio a Montecitorio potrebbe definitivamente concludere il cammino. Schermaglie sul regolamento dell’opposizione e astuzie che il governo potrebbe utilizzare per sospingere l’Italicum fino al contingentamento dei tempi di discussione, togliendo quindi spazio e voce all’opposizione. Sempre tenendo in considerazione il fatto che proprio le norme del funzionamento dell’assemblea impediscono che la fiducia possa essere messa sul voto finale della legge elettorale. C’è un meccanismo regolamentare alla Camera che consente, se si dovesse arrivare ai voti nel mese di maggio, il contingentamento dei tempi e, quindi, ad avere molto meno tempo per gli interventi in aula.
Cocis