Fondazione Open, i finanziatori della ‘cassaforte di Renzi’

Dopo un’operazione ad alto impatto mediatico,  con perquisizioni in tutta Italia, è tornata in prima pagina la Fondazione Open, definita come la “cassaforte” di Renzi.

Nata nel 2012 con il nome di Big Bang, la Fondazione Open serviva a sostenere le iniziative politiche di Matteo Renzi. Un esempio abbastanza chiaro è l’impegno della fondazione nella messa a punto della Leopolda, il grande convegno dell’ex premier oggi leader di Italia Viva. A capo della Fondazione si trovava Bianchi, mentre facevano parte del Consiglio di Amministrazione Maria Elena Boschi, Luca Lotti e Marco Carrai. In seguito al crollo politico di Matteo Renzi, decisamente più rapido della sua ascesa, Bianchi propone di chiudere la Fondazione, ma il Cda deve far fronte a un problema non indifferente. Un notevole buco nel bilancio, sul quale si sono concentrate le attività investigative.

 Gli inquirenti sono al lavoro per chiarire i rapporti tra la Fondazione Open e i finanziatori. Lo scopo dell’attività investigativa è quella di capire dove siano finiti i soldi donati dal 2012 al 2018, anno di chiusura della Fondazione. L’ipotesi, o almeno il sospetto da sciogliere, è che almeno parte di quei soldi possa essere stato trasformato in un finanziamento illecito,  una macchina complessa che sarebbe dovuta servire ad ad avvantaggiare i sostenitori di Matteo Renzi.

Nella giornata del 26 novembre sono scattate le perquisizioni in tutta Italia per accertarsi proprio dei rapporti tra la Fondazione e i finanziatori. Per gli inquirenti la Fondazione Open era una sorta di cassaforte alimentata dai soldi di donatori privati.

 Tra il 2012 e il 2017 la Fondazione Open ha raccolto quasi sette milioni di euro arrivati da donatori privati che hanno investito per finanziare l’impegno e l’attività politica di Matteo Renzi, arrivato a Palazzo Chigi nelle vesti di Presidente del Consiglio. Stando a quanto emerso, negli anni in cui Matteo Renzi dominava la scena politica italiana, la Fondazione ha ricevuto donazioni anche da eminenti personaggi del mondo della politica. Inclusi uomini del Centrodestra, che non volevano essere collegati direttamente al Pd, per una questione di credibilità e di immagine, e quindi facevano il giro largo.

Tra i donatori illustri troviamo Davide Serra, che ha elargito alla Fondazione Open quasi trecentomila euro, la British american tobacco e Vincenzo Onorato. Sfogliando l’elenco spuntano anche la Menarini e Alfredo Romeo, tanto per fare solo alcuni dei nomi più in vista.

Molti finanziatori hanno chiesto di non rendere nota la propria identità, quindi al momento le informazioni a disposizione dell’opinione pubblica sono limitate.

 Matteo Renzi ha commentato la svolta nell’inchiesta sulla Fondazione Open attaccando i magistrati e parlando di un’operazione dal grane impatto mediatico: “Un’operazione in grande stile, all’alba, di forte impatto mediatico. La decisione è stata presa dai pubblici ministeri di Firenze, Giuseppe Creazzo e Luca Turco, titolari anche di altre inchieste: sono loro, ad esempio, ad aver firmato l’arresto per i miei genitori, provvedimento – giova ricordarlo – che è stato annullato dopo qualche giorno dai magistrati del Tribunale del Riesame. Chi ha finanziato in questi anni la Fondazione Open ha rispettato la normativa sulle fondazioni. Cosa facesse la Fondazione è noto, avendo – tra le altre cose – organizzato diverse edizioni della Leopolda. E se è giusto che i magistrati indaghino, è altrettanto giusto che io mi scusi con decine di famiglie per bene che  all’alba sono state svegliate dai finanzieri in tutta Italia solo perché un loro congiunto ha sostenuto in modo trasparente la nostra attività politica”.

 Matteo Renzi ha poi risposto Luigi Di Maio, che aveva chiesto una Commissione per il controllo dei finanziamenti ai partiti. “Se poi altri partiti utilizzano questa vicenda per chiedere commissioni di inchiesta sui partiti e sulle fondazioni io dico che ci sto. Anzi, rilancio: dovremmo allargare la commissione di inchiesta anche a quelle società collegate a movimenti politici che ricevono collaborazioni e consulenze da società pubbliche. Italiane, certo. Ma non solo italiane”.

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