Fratelli d’Italia prende posizione nello scontro tra il governo e la magistratura. Il partito di Giorgia Meloni ha postato sui propri canali social un video con le dichiarazioni del direttore del Giornale, Sallusti: “La decisione del Tribunale di Roma non ha a che fare con la giustizia, bensì con la politica. Pare, a questo punto, che certa magistratura politicizzata voglia vendicare la sconfitta della sinistra alle scorse elezioni”.
Di certo, quello che è chiaro è il messaggio che si è voluto trasmettere. Lo riassume bene il titolo del Giornale: “Meloni ai giudici: governo io” ed è un messaggio che Alessandro Sallusti nel suo fondo spiega rivolto ad una “magistratura politicizzata” che finalmente questo governo avrebbe deciso di prendere di petto. Il condizionale è d’obbligo, perché certi malumori albergano anche in Fratelli d’Italia, come scrive nel suo retroscena Francesco Olivo su la Stampa: “Nel partito sono certi che l’atteggiamento considerato ostile sui migranti, nasconda in realtà una preoccupazione sulla riforma della giustizia, in particolare sul sorteggio dei membri del Csm, che toglierebbe peso alle correnti delle toghe. Nel frattempo, la maggioranza accelera sulla separazione delle carriere, l’altra riforma duramente osteggiata dalla magistratura”.
A questo punto, scrive Massimo Franco sul Corriere della Sera: “la domanda che ci si comincia a porre è se sia possibile uno scontro tra governo e parte della magistratura per il resto della legislatura. Mancano tre anni alla scadenza naturale, e il sospetto è che il conflitto esploso sui centri in Albania ma in incubazione da mesi possa portare ad altro”. E’ proprio questo il punto che agita il Quirinale che poi deve avallare il testo “fantasma” del decreto. Perché fantasma? Lo scrive la Stampa con Ugo Magri che racconta come: “Il testo del decreto è stato al centro di un giallo durato tutta la giornata e nemmeno i ministri sono riusciti a leggerne il contenuto, prima di votarlo. I fogli con il contenuto del decreto infatti sono rimasti davanti al sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano, senza che fosse distribuito ai presenti, come avviene di solito”.
Se queste sono le premesse, di una donna sola al comando, le conclusioni possono essere davvero complicate anche se, almeno per quello che scrive sul Foglio Simone Canettieri alla fine “il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella non si opporrà al decreto legge. Tuttavia è preoccupato per l’efficacia del provvedimento, destinato a confliggere con la Ue”. I problemi riguardano i contenziosi con Bruxelles e appunto le difformità con le regole della Commissione, regole sui migranti destinate a cambiare fra un anno con un nuovo patto. “Nel frattempo Mattarella non ravvedendo, almeno nelle interlocuzioni informali degli uffici, profili di incostituzionalità non ostacolerà il decreto – annota il Foglio – Al limite, è un’ipotesi ancora sospesa, potrebbe promulgarlo accompagnandolo da una lettera di raccomandazioni come avvenne per i balneari”.
Non è la prima volta che il governo mostra l’intenzione di affrontare i nodi irrisolti: nel Consiglio del 2 ottobre si era parlato di capolarato, un tema che per l’Italia ha il volto dello sfruttamento nei campi agricoli, e che ha portato alla necessità di misure di controllo più stringenti e di supporto alle vittime. Un quadro che, evidentemente, non si limita alla sola stretta sui migranti, ma che cerca di abbracciare, almeno nelle intenzioni, un fronte più ampio di interventi strutturali.
Il Consiglio dei Ministri ha messo un punto fermo: la lista dei Paesi sicuri per i rimpatri diventa legge. Basta aggiornamenti annuali su decreto del ministro degli Esteri, come avveniva finora: adesso l’elenco ha lo stesso peso normativo di qualsiasi legge.
Durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha affermato che questa mossa è figlia di una sentenza della Corte di giustizia europea, una decisione che, a suo dire, non è stata del tutto compresa dai giudici italiani. Eppure, dietro a questa scelta c’è una volontà chiara: rafforzare l’autorità della normativa nazionale nei confronti delle interpretazioni europee.
Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno, ha annunciato che la lista scende a 19 Paesi, escludendo Camerun, Colombia e Nigeria. Il criterio di selezione si è basato su una valutazione di stabilità territoriale. Per Piantedosi, questa mossa rappresenta una risposta a quella che ha definito come una “interpretazione ondivaga” da parte dei giudici, i quali, in passato, hanno spesso emesso sentenze non condivise dal governo.
Il decreto stabilisce che l’elenco dei Paesi sicuri sarà rivisto periodicamente attraverso un atto con forza di legge, recependo le indicazioni della Corte europea e rimuovendo Paesi con eccezioni territoriali.
Al centro della vicenda c’è il trattamento dei migranti nei centri in Albania. Qui, un gruppo di giudici italiani ha applicato alla lettera la sentenza europea del 4 ottobre, annullando il trattenimento di 12 migranti. La Corte di giustizia aveva stabilito che un Paese può essere definito sicuro solo se esclude in modo rigoroso ogni rischio di persecuzioni o trattamenti inumani. La nuova legge italiana tenta di circoscrivere questa interpretazione, attribuendo alla lista dei Paesi sicuri un valore normativo che dovrebbe ridurre l’arbitrarietà delle decisioni giudiziarie.
La questione è diventata comunque estremamente politica. Secondo Nordio, rendendo la lista parte integrante della legge, i giudici non avranno più margine per disapplicarla. “Tenderei ad escludere che possano farlo”, ha dichiarato, lasciando intendere che il provvedimento rappresenta una sorta di “paletto” normativo. Inoltre, ha puntualizzato che la sentenza della Corte di giustizia non è vincolante in senso astratto, ma risponde a un caso specifico con criteri molto stringenti.
La nuova norma serve ad accelerare le espulsioni, limitando l’uso strumentale delle richieste di protezione internazionale. Con il sistema attuale, ha spiegato Piantedosi, le persone che fanno richiesta di asilo in realtà finiscono per bloccare le procedure di rimpatrio per anni, con costi ingenti per lo Stato. Il ministro ha snocciolato anche le cifre: ogni anno, il Viminale spende 1,7 miliardi di euro per l’assistenza ai migranti, con una percentuale elevata di richieste che vengono poi respinte.
Come finirà? Di certo si festeggeranno i due anni di governo e come scrive Marcello Sorgi nel suo editoriale su la Stampa “non occorre neppure rivolgersi ad autorevoli costituzionalisti, basta aver letto la Carta, per sapere che se c’è una caratteristica che emerge dalla lettura è che la Costituzione è costruita con un sistema di pesi e contrappesi, creato proprio per evitare che un potere possa sopravanzarne un altro”. Già perché lo scontro con la magistratura non è detto che faccia proprio del bene al governo e a chi fino ad ora ha creduto nell’opera riformatrice della Meloni, qualche sondaggio, come quello di Youtrend riportato dai quotidiani ci dice che l’afflato con l’elettorato sembra in discesa e chissà se mostrare i muscoli possa essere la soluzione per una risalita.