Il partito di Giorgia Meloni, con il capogruppo alla Camera Tommaso Foti, presenta una proposta di legge che prevede il prolungamento delle agevolazioni fiscali per i lavoratori con almeno tre figli minorenni o a carico che trasferiscono la residenza in Italia.
La bozza della proposta introduce “nell’ambito delle misure volte a favorire il rientro in Italia di lavoratori operanti all’estero, alcune misure a sostegno della natalità e di prolungamento degli incentivi per le famiglie numerose (nuovi commi 5-quinquies e 5-sexies dell’articolo 5 del decreto-legge n. 34 del 2019)”. La misura – si legge nella relazione illustrativa – “è volta a rafforzare gli incentivi fiscali previsti per i lavoratori altamente qualificati, docenti o ricercatori che scelgono o hanno scelto di trasferire la residenza in Italia dall’estero”.
Fratelli d’Italia contro la “fuga di cervelli”, problema che, lamenta la forza politica leader della maggioranza, “attanaglia la nostra Nazione ormai da decenni”.
I protagonisti della fuga di cervelli sono ragazzi con altissime competenze e specializzazioni, soprattutto in ambito tecnologico e di ricerca. La maggior parte di questi decidono di andare all’estero per fare esperienza o arricchire il proprio curriculum e in seguito, non tornano in patria perché non gli riserva grandi prospettive.
Gli stipendi sono più bassi, la disoccupazione è più alta, gli investimenti nella ricerca sono quasi inesistenti se comparati al resto d’Europa.
Una delle cause più forti della fuga di cervelli, sono sicuramente gli scarsi investimenti per la ricerca in Italia. La Francia investe il doppio dell’Italia nella ricerca e la Germania perfino il triplo.
C’è un dato ancora più sconcertante, se consideriamo la spesa per l’istruzione rispetto alla spesa pubblica totale: il 7,9%. Questo dato fa sprofondare l’Italia sotto tutti i paesi europei.
Il settore più preoccupante è sicuramente quello universitario. Infatti, la spesa per l’educazione universitaria in Italia, non è nemmeno la metà di quella europea. Inoltre, è necessario sottolineare che, per ogni euro speso in università, l’Italia ne spende 44 in pensioni.
Con 26,9% di laureati, l’Italia è molto al di sotto della media europea del 39,9%. Come se non bastasse, il 30% degli italiani all’estero ha un laurea. Cosa significa? Che queste persone si sono istruite e poi sono andate via dall’Italia.
Un’altra grande differenza dei dati italiani con quelli europei, riguarda la differenza di stipendio tra un laureato e un diplomato. Infatti, in Italia un laureato guadagna in media il 38% in più di un suo pari che non è andato oltre alle superiori. La media europea è il 55% in più.
Lo sconforto per i laureati però, non finisce qui. Infatti, è risultato che il tasso di occupazione dei giovani con la laurea è inferiore a quello di chi possiede un diploma tecnico o professionale.
Ovviamente, tutti questi numeri sono lo spettro di un fenomeno ben più grande: la frustrazione. Dopo anni di studio e grandi sforzi per raggiungere le competenze aspirate, le prospettive sono ben poco stimolanti.
Le conseguenze di questo fenomeno sono diverse, ad esempio si corre il rischio di rimanere indietro in termini di innovazione e imprenditorialità.
Un’altra conseguenza, potrebbe essere quella di lasciare ad altri paesi, i frutti dei nostri investimenti in istruzione. Infatti non dobbiamo dimenticarci che questi studenti si sono formati dentro il nostro sistema educativo. Ad un certo punto, se i cittadini formati dallo stato continuano ad andarsene, il paese stesso potrebbe decidere di investire di meno in istruzione e ricerca.
Per accennare a una recente riforma, la fuga dei cervelli, economicamente vale 21 volte in più del taglio dei parlamentari. Infatti, negli ultimi cinque anni, l’emigrazione dei laureati italiani è costata 10,6 miliardi di euro.
Ora, facciamo un breve calcolo per capire come mai questi laureati in fuga costano così tanto allo Stato. La spesa pubblica annuale italiana destinata all’istruzione è di circa 9.300 dollari per studente. 8,400 dollari per la scuola primaria, 8.900 per quella secondaria e 11.500 per quella universitaria. Ora, moltiplicate tutti questi dati per il numero di anni che uno studente dovrà trascorrere alle elementari, medie, superiori e università. Alla fine di questo calcolo, ogni studente laureato costa circa 153.000 euro.
Attenzione, perché la spesa non si ferma ai costi dell’istruzione e della formazione di ogni studente. Se consideriamo che ogni emigrato è un mancato contributo, la spesa si alza, e di molto.
Secondo le stime de Il Sole 24 Ore, la spesa di ogni cervello in fuga, sarebbe ancora maggiore, aggirandosi intorno ai 14 miliardi di euro l’anno.
In particolare, “si sostengono le famiglie numerose con almeno tre figli minorenni, prolungando la durata dell’agevolazione fino al periodo d’imposta successivo a quello del compimento del diciottesimo anno di età del figlio più giovane purché, al momento dell’esercizio dell’opzione, tali famiglie abbiano almeno tre figli minorenni a carico, anche in affido preadottivo”.
L’opzione per prolungare l’accesso a queste agevolazioni “potrà essere esercitata con il versamento una tantum di un importo pari al 3 per cento dei redditi oggetto dell’agevolazione, relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione”. La misura, dunque, vuole ottenere un duplice effetto: da un lato, “si stimola la natalità in quanto la misura si applica soltanto in presenza di almeno tre figli minorenni” e, dall’altro lato, “si incentiva il trasferimento in Italia di famiglie numerose o intenzionate ad aumentare il numero di figli nel tempo”.
È previsto, infatti, “che la nascita, l’adozione o l’affido preadottivo di ciascun figlio oltre il terzo durante il periodo di fruizione delle agevolazioni fiscali comporti il prolungamento, senza oneri aggiuntivi, delle agevolazioni medesime fino al periodo d’imposta successivo a quello del compimento del diciottesimo anno di età del nuovo nato”, viene spiegato nella proposta a firma Foti.