Sono uscite in questi giorni molte notizie di una ricerca francese condotta al rinomato ospedale parigino de La Pitié-Salpetrière la quale suggerisce fortemente che il fumo del tabacco possa avere un notevole effetto preventivo contro il coronavirus.
I dati raccolti non sono in sé controversi, ma sono sicuramente imbarazzanti. I ricercatori dell’ospedale hanno trovato che, dei pazienti in cura per il Covid-19, i fumatori erano solo il 4,4%, una spettacolare sotto-rappresentazione rispetto alla presenza di fumatori nella popolazione francese. Il risultato conferma una simile osservazione già fatta in Cina, ma indispone il forte fronte anti-fumo.
Secondo il Prof. Zahir Amoura, un neurobiologo responsabile di medicina interna, malattie autoimmuni e sistemiche presso la struttura parigina e autore della ricerca: “Rispetto alla popolazione generale francese, l’incidenza di fumatori quotidiani è minore del 75,4% tra i ricoverati per il Covid-19 e inferiore dell’80,3% tra i pazienti ambulatoriali”. Si ipotizza che l’effetto possa dipendere dalla nicotina presente nel fumo.
Per quanto la demonizzazione “morale” del tabacco abbia una lunga storia, fino alla metà del secolo scorso la sostanza era invece piuttosto apprezzata dalla professione medica, che le attribuiva notevoli poteri curativi i quali, visti alla luce di oggi, possono apparire alquanto bizzarri.
L’immagine del 18° secolo qui sopra – conservata nella collezione della Wellcome Trust inglese – dimostra l’applicazione di un “clistere al fumo” a una vittima di annegamento. All’epoca, si riteneva che il fumo del tabacco – per i suoi poteri di contrasto al freddo e alla sonnolenza patologica – fosse una cura sovrana in questi casi. La Royal Humane Society – fondata nel 1774 come ente benevolo di pronto soccorso – installò infatti numerose postazioni “anti-annegamento” lungo il fiume Tamigi attrezzate per prestare la cura, considerata allora altrettanto valida quanto la respirazione artificiale.
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