Dopo essere riuscito nel quasi impossibile compito di portare la Rai ad un indebitamento monstre di 580 milioni di euro, Carlo Fuortes, rimette il mandato. E decide di dimettersi da Amministratore Delegato, facendo il martire a ridosso dello sciopero indetto contro di lui per il 26 maggio prossimo da 12.000 lavoratori esasperati dell’azienda di viale Mazzini. Che gli contestano di aver portato la Rai allo sbando con una gestione rovinosa.
In Rai non si era mai visto uno sciopero così massiccio: da una parte l’Usigrai che, sulla carta, “rappresenta”, si fa per dire, 2000 giornalisti. E che, con inossidabile faccia tosta e piglio fintamente aziendalista, ha cercato, fino all’ultimo, di blindare Fuortes, dall’altra tutti gli altri sindacati – parliamo di oltre 12.000 lavoratori Rai – per la prima volta tutti uniti contro l’Ad che ha sfasciato la concessionaria del servizio pubblico radiofonico e televisivo.
“Da decenni lavoro nell’amministrazione pubblica e ho sempre agito nell’interesse delle istituzioni che ho guidato, privilegiando il beneficio generale della collettività rispetto a convenienze di parte – prova a sostenere Fuortes dopo aver comunicato le sue dimissioni al Ministro dell’Economia e delle Finanze. – Nel primo anno di lavoro del nuovo Consiglio di Amministrazione con il governo Draghi – se la canta Fuortes – il Cda ha raggiunto grandi risultati per l’Azienda. Per citarne solo alcuni: nuovi programmi e palinsesti che hanno portato tra l’altro a un evidente rilancio di Rai2, la trasformazione organizzativa per Generi, un Piano immobiliare strategico che si attendeva da decenni, un rilevante potenziamento di RaiPlay e dell’offerta digitale”.
“Dall’inizio del 2023 sulla carica da me ricoperta e sulla mia persona – sostiene l’Ad Rai dimissionario – si è aperto uno scontro politico che contribuisce a indebolire la Rai e il Servizio pubblico. Allo stesso tempo ho registrato all’interno del Consiglio di amministrazione della Rai il venir meno dell’atteggiamento costruttivo che lo aveva caratterizzato, indispensabile alla gestione della prima azienda culturale italiana. Ciò minaccia di fatto di paralizzarla, non mettendola in grado di rispondere agli obblighi e alle scadenze della programmazione aziendale con il rischio di rendere impossibile affrontare le grandi sfide del futuro della Rai“.
“Il Consiglio di Amministrazione deve deliberare, nelle prossime settimane, i programmi dei nuovi palinsesti ed è un dato di fatto che non ci sono più le condizioni per proseguire nel progetto editoriale di rinnovamento che avevamo intrapreso nel 2021. Non posso, pur di arrivare all’approvazione in CdA dei nuovi piani di produzione, accettare il compromesso di condividere cambiamenti – sebbene ovviamente legittimi – di linea editoriale e una programmazione che non considero nell’interesse della Rai. Ho sempre ritenuto la libertà delle scelte e dell’operato di un amministratore un elemento imprescindibile dell’etica di un’azienda pubblica”.
“Il mio futuro professionale – di cui si è molto discusso sui giornali in questi giorni, non sempre a proposito – è di nessuna importanza di fronte a queste ragioni e non può costituire oggetto di trattativa. – dice Fuortes che si accomoderà sulla poltrona di Sovrintendente del San Carlo di Napoli liberata da Stephane Lissner. – Prendo dunque atto che non ci sono più le condizioni per proseguire il mio lavoro di amministratore delegato. Nell’interesse dell’Azienda, ho comunicato le mie dimissioni al Ministro dell’Economia e delle Finanze”.
Non tutti nel Pd amano Fuortes: Beppe Sala, per dire, gli ha sbattuto le porte in faccia quando ha saputo che Fuortes ambiva a planare sulla poltrona di governo della Scala.
“La verità e che sono tutti contro Fuortes, tranne l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, che dalle denunce per comportamento antisindacale, è passato ai comunicati lingua in bocca con l’Ad Rai – dice, al Secolo, un altro giornalista di viale Mazzini. – Fuortes è riuscito a mettere d’ accordo tutti: uno sciopero unitario, dalla Cgil alla Uil, in Rai non si era mai visto. I lavoratori del Servizio Pubblico hanno incassato, per la prima volta, persino la solidarietà dell‘AdRai, l’associazione dirigenti Rai“.
L’agitazione del prossimo 26 maggio era stata proclamata da Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil, Fnc Ugl, Snater, Libersind Confsal, con l’Apa, i produttori dell’audiovisivo, che si sono appellati addirittura al Mef chiedendo un intervento urgente che sblocchi produzione e palinsesti Rai paralizzati dall’attuale vertice.
Gli unici a smarcarsi sono stati, appunto, quelli dell’Usigrai con quella dichiarazione che sembra scritta dall’ufficio stampa di Fuortes o del Pd.
“Neanche una parola sulle preoccupanti condizioni delle finanze Rai“, fa notare ancora un altro giornalista Rai. Che si chiede: “perché tanta corrispondenza di amorosi sensi dell’Usigrai con un vertice che tiene l’azienda paralizzata mentre tratta la sua buonuscita e liquidazione, che ha esposto finanziariamente l’azienda portando l’ indebitamento alla cifra record di 580 milioni di euro?”
“Mentre gli altri lavoratori sono in stato d’agitazione, l’Usigrai ha ottenuto, infatti, da Fuortes un bel pacchetto di promozioni e nomine per i giornalisti che lavorano nei programmi, e l’impegno, a fronte di quasi 2000 giornalisti Rai dipendenti a tempo indeterminato, di ulteriori assunzioni nelle testate e nelle reti“.
Per la potente lobby sindacale che agisce come sindacato satellite del Pd, non esiste condizione migliore di una governance debolissima per poter continuare a grattare privilegi di ogni genere“.
Da oggi l’Usigrai è orfana di Fuortes. E per la Rai inizia, finalmente, l’epoca del riscatto.