Gauguin ricorda Parigi e le sue isole

”Come tutte le perone di indole stravagante e con un carattere deciso, Vincent non aveva alcun timore degli altri, né si intestardiva”, racconta Paul Gauguin dell’amico Van Gogh con cui ad Arles divide vita e studio: ”Tra lui e me, l’uno vulcanico, l’altro nel quale ribolliva un temperamento altrettanto impetuoso, covava una lotta che prima o poi sarebbe dovuta esplodere”. Ed esplose, se un bel giorno del 1988, come si sa e qui si racconta, Vincent si mise a inseguire Gaguin con un rasoio in mano e poi finisce per tagliarsi via il proprio orecchio e portarlo alla loro casa d’appuntamenti preferita, grondando sangue per le scale, con tutte le prostitute che si riversano in strada. E’ uno egli episodi più noti di quel sodalizio e ora la leggiamo nella versione colorita di Gauguin, nelle pagine delle memorie scritte l’ultimo anno della sua vita e uscite postume, costruite innescando ricordi del passato sul presente, tanto che le intitola ”Prima e dopo”. Ma i racconti più interessanti, le riflessioni lampeggianti e sintetiche in cui si gioca con le parole, sono quelli sui suoi viaggi in Polinesia e alle Marchesi. Gauguin nel dicembre 1901 si imbarca per Papeete per recarsi in quell’arcipelago remoto a oltre mille chilometri da Tahiti. da sei anni si è stabilito in Polinesia, lasciando Parigi, forte di un contratto col mercante Ambroise Vollard che gli assicura 300 franchi al mese più tele, carte e colori, in cambio di una ventina di dipinti l’anno, come ci ricorda Maria Grazia Messina, curatrice del volume. ”Qui la mia immaginazione cominciava a raffreddarsi e poi il pubblico si era troppo abituato a Tahiti” scrive ad un amico, lamentando che la gente vuole sempre qualcosa di nuovo e che comunque, come i quadri fatti in Bretagna sembravano ”all’acqua di rose” rispetto a quelli realizzati a Tahiti, così sarà per questi davanti a ciò che farà alle Marchesi. Il prima ci parla della sua infanzia, a Lima, delle sue prime fughe, dei mestieri per sopravvivere, mozzo, operaio, attacchino. Così arriviamo al primo viaggio a Tahiti, all’esplosione sulle sue tele di belle donne infiorate, dopo che la moglie di Odilon Redon gli ha parlato delle sue natie isole della Riunione. Poi torna in Francia senza una lira e con una compagna giavanese, quindi nel 1895 riparte per la Polinesia.   E qui parla di pittura, dei ”Gamberetti rosa” di Van Gogh venduti dall’amico per fame per 5 franchi e poi battutto all’asta pochi anni dopo per quasi 500. Racconta di Degas, Manet, Cezanne, ma anche di Mallarmé o Paul Fort e persino di Strindberg, che si rifiuta di scrivere una presentazione di quadri di Gauguin che definisce ”bizzarro tumulto di quadri soleggiati”. Ha idee, sintetizza in frasi brevi come versi improvvise visioni, ma anche riferisce tanti episodi curiosi, critica suore, missionari e la Chiesa cattolica, attacca il modo francese di governare le colonie, se la prende con l’ipocrisia occidentale davanti alla naturalezza dei maori, insiste su aneddoti sessuali, come quel giudice delle Marchesi che, a una giovane donna che chiedeva giustizia per essere stata stuprata da 12 uomini senza nemmeno essere stata pagata, subito si aggiunse lui come tredicesimo, quindi le diede dei soldi e le disse: ”Capisci, piccola mia, ora non posso più giudicare questo caso”. A chiusura di questo diario, scritto mettendosi davvero a nudo nei mesi più duri della sua esistenza, malato di sifilide, incarcerato per aver oltraggiato un gendarme francese per difendere dei locali, il pittore scrive: ”Accanto all’arte, l’arte purissima, ci sono, data la ricchezza dell’intelligenza umana, molte cose da dire e bisogna dirle” e il volume è costella di alcuni curiosi disegni a penna. Castelvecchi lo pubblica con tutti i crismi, in edizione critica, con utili note e persino, visto che ormai è abitudine abolirlo, un prezioso indice dei nomi.

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