C’è ancora un anno di tempo. Ma tutti si stanno preparando a scegliere il sostituto di Sergio Mattarella. La nomina di Mario Draghi ha sbaragliato la politica ma ha anche normalizzato quella consuetudine costituzionale che con il precedente quadro politico rischiava di incrinarsi. Ora i partiti dovrebbero riacquistare quel ruolo centrale per trovare l’accordo sul sostituto di Sergio Mattarella. Ma prima devono ritrovare la loro essenza. Matteo Renzi è stato il vincitore politico dell’ultima partita politica: è riuscito a far dimettere Giuseppe Conte, portare a Palazzo Chigi Mario Draghi sostenuto da una ampissima maggioranza e a creare caos nel Pd culminato con le dimissioni di Zingaretti. Un capolavoro di architettura politica, secondo alcuni, che ha evidenziato, però, tutte le contraddizioni di un partito democratico alle prese con una crisi di identità inimmaginabile qualche anno fa. Il nuovo segretario avrà davanti tante sfide ‘identitarie’ ma quella più gravosa la giocherà sul tavolo della nomina del nuovo presidente della repubblica. Tutti guardano a Mario Draghi, già incoronato come salvatore della Patria. L’ex numero uno della Bce potrebbe restare a Palazzo Chigi solo un anno e da febbraio del 2022 potrebbe traslocare al Quirinale con successive elezioni politiche che così si terrebbero con un anno di anticipo rispetto la scadenza naturale di questa legislatura. Il banchiere, sostenuto da una ampia maggioranza, potrebbe avere i numeri per una sua elezione al Quirinale anche alla prima tornata delle votazioni. Ma non tutto sembra essere così lineare. Per diversi motivi. L’attuale presidente del consiglio potrebbe diventare il nuovo leader dell’Unione Europea perché Angela Merkel, per fine anno, non sarà più Cancellerie della Germania ed Emmanuel Macron sarà impegnano nelle elezioni per essere riconfermato alla guida della Francia. Unico leader vero e di spessore nello scacchiere europeo resta, dunque, solo Mario Draghi. Ma potrà essere guida solo restando a Palazzo Chigi. Dall’alto del Quirinale non potrebbe incidere più di tanto. Inoltre la sua nomina a presidente della repubblica significherebbe elezioni anticipate certe: difficile ipotizzare un governo di transizione. Ma proprio le elezioni nella prossima primavera nessuno le vuole. Uno perché c’è una quantità di politici in crisi per colpa di Mario Draghi: dalla vecchia maggioranza giallo-rossa al centro destra sono tutti in cerca della propria identità politica. E poi un’altra questione, più veniale che interessa personalmente tutti i parlamentari e non va assolutamente sottovalutata. Deputati e senatori al loro primo mandato, al fine di maturare i requisiti per la pensione devono essere in carica almeno per quattro anni, sei mesi e un giorno. Se si votasse nella primavera del 2022 molti peones vedrebbero sfumare la pensione per pochi mesi cui si aggiunge il rischio di non essere rieletti vista la sforbiciata del taglio dei parlamentari che entrerà in vigore dalla prossima legislatura. Da escludersi una riconferma di Sergio Mattarella solo per due anni per poi lasciare lo scranno a Mario Draghi: l’attuale presidente della Repubblica non si presterebbe a questi giochetti che screditerebbero l’assetto istituzionale italiano. Quindi è più probabile che Mario Draghi resti a palazzo Chigi fino alla scadenza naturale dell’attuale Parlamento e si nomini un nuovo presidente della Repubblica. E naturalmente sta iniziando il balletto delle totonomine ed autocandidature. Tutti stanno lavorando per cercare di andare ad occupare quella ‘sedia’. In questo scenario il nome che iniziando a prendere quota è quello dell’attuale commissario europeo all’economia ed ex presidente del consiglio Paolo Gentiloni. Un nome, sembra, sponsorizzato addirittura dall’attuale presidente del consiglio. Tra i due, fino ad ora, ci sono state tante parole dolci anche se il loro rapporto in parte si sta logorando. Il problema resta sempre la nomina di Alessandra Dal Verme alla guida dell’Agenzia del Demanio. Gentiloni non ha digerito il fallito blitz nell’ultimo consiglio dei ministri che avrebbe dovuto portare la cognata alla guida dell’Agenzia al posto di Antonio Agostini. Il commissario europeo la vuole lì, seduta su quella poltrona. Ma sembra che ci sia anche qualche ‘comitato d’interesse’ e ‘lobby’ interessati a vederla seduta sulla sedia di via Barberini. Su tutte l’affaire Atlantia e quindi Autostrade: un settore di interesse del Demanio che porterebbe la Del Verme, per le sue precedenti cariche, come emerge dal suo curriculum vitae, in aperto contrasto con la direzione cui aspirerebbe e sarebbe sponsorizzata. Il dossier Autostrade Spa è ancora lì aperto e con i grillini ancora sulle barricate potrebbe diventare un grosso problema per Mario Draghi. Inoltre sulla sua nomina ci sono alcuni macigni. Sulla Dal Verme pesa, infatti, una ‘incompatibilità’ sia di opportunità politica che tecnica. Innanzitutto c’è il ‘ruolo istituzionale’ di Paolo Gentiloni visto che tra le incompatibilità dei commissari europei spicca quella di non avere parenti o affini nei Paesi membri dell’Unione europea che gestiscono investimenti e risorse che hanno a che fare con fondi comunitari. E l’attività dell’Agenzia del Demanio riveste un ruolo fondamentale nella progettazione e realizzazione del Recovery Found. A questa si aggiunge una norma del Testo unico della dirigenza pubblica che statuisce che i dirigenti delle amministrazioni vigilanti non possono avere incarichi operativi negli enti vigilati. Insomma la Dal Verme, passando al Demanio, rivestirebbe il ruolo di vigilante e vigilata. Però, gli interessi nella partita della gestione del Recovery sono tanti e fanno gola a tutti.
Ma per l’ex presidente del consiglio e autocandidatosi alla presidenza del consiglio spingere più di tanto, arrivando fino ad uno scontro con Mario Draghi, per far nominare la cognata alla guida dell’Agenzia del Demanio potrebbe costargli caro per i suoi sogni futuri. Per il Quirinale potrebbe avere il profilo giusto. Origini nobiliari, educazione cattolica, moderato anche se da giovane è stato attratto dagli ideali estremisti della sinistra. E’ stato solo un lampo perché poi si innamora dell’ambiente e dell’ecologismo e soprattutto di Francesco Rutelli. Nel 2001 arriva il riconoscimento con l’elezione in Parlamento e l’ascesa politica che lo fa transitare tra diversi ministeri per passare a Palazzo Chigi ed approdare in Europa. All’estero è ben visto e vanta anche un importante riconoscimento in Francia. Ed ora sogna il Quirinale. Lui lo vuole e ci sta lavorando da settimane. Ci sta seriamente pensando. Deve, però, fare i conti con la politica romana messa in stand by da Mario Draghi. Febbraio 2022 è un orizzonte ancora lontano. Ma la sua ‘candidatura’ al Colle più alto rischia di essere bruciata dalla volontà di voler ‘piazzare’ la cognata alla guida dell’Agenzia del Demanio. Un errore per un politico di spessore, ambizioso e capace.
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