Giocare a Ruzzle prima del sonno aiuta a dormire meglio e più a lungo

 

La scoperta dei ricercatori dell’Ateneo Vanvitelli pubblicata su Behavioral Sleep Medicine

NAPOLI. Cimentarsi in giochi come Ruzzle prima di andare a dormire aiuta e migliora la qualità del nostro sonno.  Chi lo avrebbe mai detto? Eppure uno studio effettuato da un gruppo di docenti del Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, in collaborazione con il Dipartimento NEUROFARBA (Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino) di Firenze, e pochi giorni fa pubblicato sulla rivista internazionale Behavioral Sleep Medicine,mostra come un allenamento intensivo ad un gioco sul cellulare (una versione modificata del noto Ruzzle), fatto  prima dell’addormentamento, migliori numerose caratteristiche (tempo di addormentamento, continuità, efficienza) di un sonnellino diurno successivo.

Alla ricerca hanno partecipato 38 studenti universitari (23 donne, 15 uomini) di età compresa tra i 19 ed i 30 anni, in buona salute e che non avessero familiarità con il Ruzzle. Ciascuno di loro ha effettuato in laboratorio due sonnellini diurni in ordine bilanciato, uno di controllo (C) e uno preceduto da una sessione di training intensivo al gioco (TR), costituita da numerosi round di Ruzzle che implicavano il coinvolgImento simultaneo di numerose funzioni cognitive, ivi incluse le più complesse.

 Rispetto alla condizione di controllo,   spiega uno degli autori della ricerca, Gianluca Ficca, Direttore Laboratorio del Sonno Dipartimento di Psicologia dell’Università Vanvitelli, il sonnellino preceduto dal training è caratterizzato da un aumento della durata totale di sonno, accompagnato da una riduzione della latenza di sonno (il tempo impiegato ad addormentarsi dopo lo spegnimento della luce), e da un aumento dell’efficienza, dovuto alla riduzione della frequenza dei risvegli. La durata del sonno aumenta in media di 17 minuti in 31 soggetti (circa il 20 per cento in piú) mentre il tempo impiegato a riaddormentarsi, detto “latenza di sonno”  è ridotto in media di 4’10” (circa il 25% in meno).

La continuità del sonno è nettamente migliorata: infatti la quantità di veglia dopo l’addormentamento (detta WASO ‘Wake After Sleep Onset’) si riduce in media di 5’30” (più del 20%, in 36 soggetti su 38), l’efficienza di sonno (ossia la percentuale di tempo effettivo di sonno sul tempo trascorso a letto) è di conseguenza aumentata dal 55% al 69%, e infine la frequenza di risvegli media è ridotta da 7.54 per ora di sonno a 5.44 per ora di sonno (i risvegli diminuiscono in tutti i soggetti). Infine aumenta anche la cosiddetta “stabilità” del sonno, che è espressa dal  numero di passaggi da uno stadio a un altro (tipo da sonno profondo a Stadio 2). Questi passaggi di stato si riducono da 23.9 a 21.4 per ora di sonno, quindi di più del 10%).

Un sonno più lungo, insomma, e di migliore qualità. Si tratta di una scoperta ottenuta su un episodio di sonno diurno (in pratica un pisolino di due ore fatto nel primo pomeriggio), ma che i ricercatori stanno attualmente ritrovando anche per ciò che riguarda il sonno notturno: essa appare di buona rilevanza in quanto confuta la diffusa credenza clinica secondo la quale l’incremento dell’attività cognitiva prima di dormire sarebbe sempre controproducente nei casi di insonnia.


Gino di Mare

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