Giorgetti: nel Piano di bilancio ‘sacrifici non banali’. Il governo alle banche: no extraprofitti ma contributo. Abi: sì a misure ‘temporanee’

La Manovra 2025 è ormai vicina, e il governo Meloni si trova di fronte a delle problematiche complesse. Con un occhio alle pensioni e un altro alla sanità, la premier e il suo team stanno cercando di trovare risorse sufficienti per sostenere entrambi i settori, tenendo conto delle rigide regole fiscali imposte dall’Europa.

Ma non è solo la sanità a preoccupare: le pensioni e le rivalutazioni saranno al centro delle discussioni per la Manovra del 2025, con ipotesi di stretta e tagli che non lasceranno nessuno indifferente.

Giorgia Meloni sa bene che la spesa per la sanità è una priorità non rimandabile. Da una parte c’è la necessità di far risalire il budget destinato al sistema sanitario, dall’altra c’è l’impossibilità di sforare i limiti imposti dall’Europa.

I margini di manovra per l’anno prossimo sono strettissimi e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, lo ha ribadito  illustrando le cifre definitive del Piano strutturale di bilancio. La crescita, all’1% quest’anno come previsto già dal Def, salirà all’1,2% nel 2025 e 2026, il deficit calerà sotto il 3% nel 2026, mentre il debito sorprenderà al rialzo, e sempre per il solito responsabile cioè il Superbonus.

Le Regioni hanno invece appreso dell’ipotesi di aumentare il Fondo sanitario nazionale per non ridurre il rapporto tra spesa sanitaria e Pil: al momento si parla di 900 milioni al netto degli aumenti contrattuali, cifra che andrà rivista alla luce del valore del Pil per essere coerente con l’obiettivo del governo di una spesa sanitaria sopra l’1,5% del Pil. Verrebbe però mantenuto l’attuale contributo delle Regioni alla finanza pubblica, già salito nel 2024 da 305 a 350 milioni di euro, tanto che le Regioni chiedono di tenere aperto il confronto per arrivare ad una cifra più contenuta.

La spesa sanitaria sopra l’1,5% è tra le “inderogabili decisioni” del governo, anche se “questo significa che altre spese devono essere più basse”, aveva detto Giorgetti ai sindacati. L’altra priorità è rendere strutturali il taglio del cuneo e la riforma dell’Irpef, e sui contratti di lavoro pubblico, c’è l’impegno “a recuperare i valori dell’inflazione, ovvero circa il 2% annuo”.

Le prime indiscrezioni indicano che nel Piano strutturale di bilancio sarà indicata una crescita del PIL pari all’1% per quest’anno – in linea con quanto indicato nel quadro tendenziale del Def di aprile – che salirà all’1,2% nel 2025 e nel 2026. Per quanto riguarda il deficit si parla di un 3,8% quest’anno, in calo al 3,2% nel 2025 e al 2,7% nel 2026 mentre il rapporto debito/PIL dovrebbe raggiungere il 134,8% nell’anno in corso e poi aumentare al 137,1% nel 2025 e al 138,3% nel 2026 per effetto del Superbonus che peserà 40 miliardi all’anno fino al 2027.

Durante l’incontro con i sindacati a Palazzo Chigi il ministro Giorgetti aveva parlato di una “fase complicata perché ci troviamo in un momento di transizione” visto che è la prima volta che si applica il nuovo Patto di Stabilità, e “la linea del Piano strutturale sarà prudente e responsabile”.

L’impegno del governo sarà quello di “non contribuire a alimentare il debito pubblico per le nuove generazioni”, ha però assicurato e per questo ha ricordato che la spesa annua si manterrà all’1,5% in media nel periodo considerato dal Psb. La correzione invece sarà pari allo 0,5% sul saldo strutturale e permetterà di arrivare sotto al 3% già dal 2026 e dunque avviare l’uscita dalla procedura di infrazione.

Con un Psb “prudente e responsabile”, resta l’esigenza di trovare altre risorse. Il ministro chiarisce che “noi chiediamo un contributo a tutti quelli che se lo possono permettere cercando insieme la strada migliore per raggiungere gli obiettivi”. Si studiano quindi diverse strade con diversi soggetti, in particolare “chi ha maggiormente beneficiato di condizioni particolarmente favorevoli”.

Non saranno tasse sugli extraprofitti, ribadisce il Mef. Anche perché, ricorda il presidente dell’Abi Antonio Patuelli, “non esistono gli extraprofitti” in nessuna dottrina, e le banche italiane finora sono state tutte salvate “con i contributi obbligatori delle banche concorrenti”, non con fondi pubblici. Resta però la disponibilità ad aiutare, con un anticipo di liquidità o un contributo volontario, ed è quello che si sta discutendo. Purché bilanci e patrimonio vengano salvaguardati.

Netta chiusura è espressa da Forza Italia. Di tassa o prelievi sugli extraprofitti gli azzurri non ne vogliono nemmeno sentir parlare. «Siamo contrari a qualsiasi tassa sugli extraprofitti» ha sottolineato il leader Antonio Tajani «A parte che bisogna capire che cosa è un extra profitto  in un Paese democratico e liberale non si può porre un limite ai guadagni di un’impresa. Cioè lo Stato non è che decide quando una cosa è un profitto e quando è un extra profitto. Detto questo, bisogna evitare che ci siano imposizioni dall’alto. Sono preoccupato soprattutto per le banche di prossimità, perché una tassa sui profitti rischia di colpire al cuore le banche popolari e le banche di credito cooperativo. Questo noi non lo permetteremo mai, non porteremo mai in Consiglio dei ministri una posizione del genere». Forza Italia ha proposto di aprire un confronto con le banche alla ricerca di soluzioni condivise.

Il sistema bancario ha dato la sua disponibilità a sedersi al tavolo ma non si esprime sulle ipotesi in circolazione. L’ipotesi di una misura una tantum di “solidarietà”, anche per evitare blitz come quello dello scorso anno, poi completamente rivisto, o proposte che poi sono inattuabili, circola d’altronde da tempo. Niente a che vedere, comunque, almeno nella narrazione della maggioranza, con la tassa sugli extraprofitti propagandata nel 2023 invisa soprattutto a Forza Italia. Tra le soluzioni allo studio, dunque, quella di trovare un’intesa su un contributo volontario non solo da parte delle banche, ma anche del mondo delle assicurazioni e il settore energetico. La partita sugli extraprofitti si inserisce in quella, più complessa, per trovare le risorse con cui coprire interventi che entreranno in manovra.

Secondo i sindacati, solo nei primi sei mesi del 2024 le banche avrebbero generato utili già per oltre 12 miliardi di euro. Uno studio di Unimpresa quantifica in 8,1 miliardi le tasse pagate dalle banche nel 2023 su 40,6 miliardi di utili, con un tax rate (il rapporto tra tasse versate nelle casse dello Stato e profitti) pari al 20,1%. Una percentuale, si sottolinea, «nettamente inferiore» alla media italiana per aziende e lavoratori stabilmente superiore al 42%.

L’ultima ipotesi allo studio, secondo le indiscrezioni, sarebbe quella di un “prelievo solidale” dell’1-2% sugli utili degli ultimi 12-24 mesi, per contribuire al finanziamento di misure come il taglio del cuneo fiscale, gli sgravi Irpef o il Bonus tredicesima. Un contributo di solidarietà una tantum e “da costruire insieme” alle aziende interessate. Per questo, dopo il fallito blitz del governo che lo scorso anno ha fatto infuriare le banche, questa volta sarebbero stati avviati fin dall’inizio dell’estate contatti informali con il mondo del credito. Questo per valutare insieme il da farsi senza rischiare uno scontro.

Ma se da parte dei banchieri c’è disponibilità al dialogo, non è certo un segreto la contrarietà non solo verso ogni forma di tassazione, ma anche verso un qualsivoglia prelievo o contributo. L’associazione ha più volte sottolineato come sul reddito prodotto dalle banche si sommano varie e maggiori imposte rispetto alle imprese degli altri settori economici: l’Ires al 24%, l’addizionale Ires per le banche al 3,5%, l’Irap al 5,45% e la cedolare secca sui dividendi al 26%. Insomma, niente a che vedere con quello che versano i settori non finanziari.

L’Istat rivede Pil e debito pubblico e questa revisione ha un impatto significativo sui conti pubblici: il deficit in rapporto al PIL è migliorato, attestandosi al 7,2% per il 2023, rispetto al 7,4% stimato in precedenza

L’obiettivo del governo è quello di mettere mano a una legge di Bilancio da almeno 25 miliardi di euro che vuole avere al centro famiglie e imprese.

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