Il congresso della Cgil è stato, negli intenti, un Maurizio Landini Show, rieletto segretario generale con il 94,2% dei sì. Una elezione ‘bulgara’ considerato che su 263 votanti quelli favorevoli sono stati 243, ma l’esito era scontato, Per evitare di essere ignorato dai media, il segretario del primo sindacato italiano ha organizzato a Rimini un evento che assomiglia a un talk show con ospite d’onore: Giorgia Meloni
Il Congresso della Cgil ha vissuto mediaticamente sulla presenza del premier, Giorgia Meloni, e sul discorso che ha pronunciato in quel sindacato rosso mai amato dalla destra.
Senza la presenza di Giorgia Meloni non sarebbe bastata la novità di Elly Schlein, segretario del Pd, per farne un grande appuntamento.
L’anelito di Maurizio Landini era innanzitutto quella di farsi riconoscere dal potere politico in una fase nella quale il suo sindacato non può vantare grandi risultati: in questi mesi non ha portato a casa sostanzialmente niente, nemmeno a livello contrattuale, ha mostrato incertezza sui no vax, non ha intercettato il consenso dei giovani, ha rotto con la Confindustria di Carlo Bonomi.
Da tempo il segretario della Cgil si è autoassegnato il ruolo di ‘facilitatore’ nell’eterno conflitto tra le opposizioni e stavolta ha dalla sua il fatto nuovo della completa ricucitura con il Partito democratico di Elly Schlein che ha espunto il riformismo.
Landini promette una stagione di lotte, a partire dallo sciopero generale, e il numero uno della Cgil ha offerto al premier l’occasione per parlare a un mondo che non è il suo, accreditandola come leader nazionale.
A dire il vero ci sono dei precedenti: nel 1981 al congresso della Cgil parlò Giovanni Spadolini, primo presidente del Consiglio laico che era sensibilissimo e un po’ timoroso di quella che lui chiamava toscaneggiando la “Cigil” con la “g” strascicata; parlò Bettino Craxi nel 1986, come gesto per ricucire le due anime – comunisti e socialisti – dopo lo strappo sulla scala mobile; parlò Romano Prodi nel 1996, primo presidente del Consiglio amico.
Andò a un Congresso della Cgil anche Silvio Berlusconi, ma senza salire alla tribuna. Giorgia Meloni invece ha parlato, sfidando il pericolo di fischi: che non ci sono stati e il congresso lo ha vinto lei.
La presenza di Giorgia Meloni al congresso della Cgil a Rimini ha spazzato il campo da equivoci, balletti e presunti tentennamenti. Il premier entra nell’arena non amica dalla porta principale, sfidando le minoranze in assetto di contestazioni. E ne esce con un applauso della platea, seppure timido. Aspetta pazientemente che si esaurisca il coretto di Bella Ciao e prende la parola accompagnata da un sorridente Maurizio Landini. Dopo 27 anni, l’ultimo era stato Prodi nel 1996, un presidente del Consiglio che partecipa alle assise del primo sindacato italiano. Il premier ha tenuto il punto davanti a una platea che la ascolta. “Pragmatica, coraggiosa e sinceramente aperta al confronto. Così è Giorgia Meloni. E così è stata nell’affrontare la platea ‘non amica’ della Cgil”, commenta la neodeputata di FdI Sara Kelany. “Ha tenuto il punto su tutto: riforma del fisco, salario minimo, reddito di cittadinanza. Non ha esitato nel condannare l’attacco alla Cgil. La platea ha compreso, visto che alla fine è riuscita a strappare un applauso ‘nonostante tutto’”. Per Chiara Colosimo, “la sola presenza del presidente Meloni al congresso della Cgil rappresenta un’apertura al dialogo importante.
“Pensati sgradita”? «Non sapevo che Chiara Ferragni fosse una metalmeccanica…». Giorgia Meloni sdrammatizza con una battuta la polemica con la sindacalista che aveva animato una piccola breve contestazione. «Ringrazio tutta la Cgil, anche chi mi contesta con slogan creativi», esordisce la premier nella tanto attesa «prima volta» alla platea del sindacato. ‘Non so cosa aspettarmi ma mi sembra giusto esserci. Non ho voluto rinunciare a questo appuntamento con il sindacato che è la più antica organizzazione del lavoro del nostro Paese. Con una attitudine all’ascolto che il governo intende portare avanti’. Il presidente del Consiglio non si fa intimorire entra nella sala della Cgil dove alla fine arrivano gli applausi mentre si siede vicino al segretario generale Maurizio Landini. Che l’ha accompagnata per tutto il suo ingresso, assediata da telecamere e giornalisti. Landini l’ha introdotta con parole moderate, una lezione alla platea più intransigente. «Dobbiamo confrontarci per trovare delle soluzioni. Proprio perché la abbiamo invitata noi, dobbiamo dimostrare come elemento di rispetto la capacità di ascoltare». Giorgia Meloni non si scompone: «Sono cavaliere al merito dei fischi, non mi sottraggo sapendo che sarò contestata. È molto più profonda la ragione che mi porta qui. Sono 27 anni che il capo del governo non partecipa al congresso della Cgil. Era normale che fosse il presidente del consiglio più lontano da questa platea ad essere qui? Io penso di sì – scandisce Giorgia Meloni- perché penso che questa possa essere l’occasione di celebrare l’unità nazionale. La contrapposizione ha un ruolo educativo per le comunità, ma l’unità segna il comune destino. Noi lavoriamo partendo dalle differenti condizioni, ma il confronto è fondativo. Argentina Altobelli, tra i fondatori della Cgil, diceva “la mia vita è stata guidata dal pensiero e dalla coscienza”». Un discorso profondo e alto. Un premier che a testa alta parla mentre partono alcuni coretti di “Bella ciao”. Con autorevolezza tiene testa a un confronto complicato. «Questo congresso è un esercizio di democrazia e partecipazione che non può lasciare indifferente chi ha responsabilità decisionali e chi come me sa quanto questi eventi tengano vive queste dinamiche. Non mi sottraggo a un contesto sapendo che è un contesto difficile. Non mi spaventa. Lavoriamo per consegnare agli italiani una riforma complessiva che riformi l’efficienza della struttura delle imposte; riduca il carico fiscale e contrasti l’evasione fiscale; che semplifichi gli adempimenti e crei un rapporto di fiducia fra Stato e contribuente». Spiega: «Vogliamo usare la leva fiscale come strumento di crescita economica: una riforma che guarda con molta attenzione al lavoro, con interventi sui redditi medio bassi e novità per i dipendenti». Noi veniamo da un mondo in cui ci si è detto che la povertà si poteva abolire per decreto. Che il lavoro si poteva creare per decreto. Se fosse così, dovrebbe essere lo Stato a creare ricchezza, non è così. La ricchezza la creano le aziende con i loro lavoratori. Lo Stato deve creare regole giuste e redistribuire. Mettere aziende e lavoratori nelle condizioni di creare ricchezza che si riverbererà su tutti». La riforma fiscale varata dal Consiglio dei ministri, ha sottolineato Meloni, «si concentra sui più fragili, sul ceto medio. Credevamo che il tempo della contrapposizione ideologica feroce fosse alle nostre spalle e invece in questi mesi, purtroppo, mi pare che siano sempre più frequenti segnali di ritorno alla violenza politica, con l’inaccettabile attacco degli esponenti di estrema destra alla Cgil e le azioni «dei movimenti anarchici che si rifanno alle Br. Voglio ricordare Biagi – specifica – fra due giorni ricorre l’anniversario dell’assassinio da parte delle Br: un uomo che ha pagato con la vita. Il sindacato è sempre stato impegnato nella lotta al terrorismo. Credevamo che il tempo della contrapposizione ideologica feroce fosse alle nostre spalle e invece, in questi mesi, purtroppo mi pare che siano sempre più frequenti i segnali di ritorno alla violenza politica. È necessario che tutte le forze politiche, sindacati e corpi intermedi combattano insieme contro questa deriva. Per far crescere l’occupazione bisogna far ripartire l’economia, liberare le energie migliori dell’Italia. È la base della riforma fiscale che il Cdm ha approvato. Partiamo da un dato e cioè che l’Italia fa registrate un tasso di disoccupazione del 58,2%, un gap che continua ad aumentare. La situazione peggiora se si considera quella femminile che registra 14 punti in meno. I salari sono bloccati da 30 anni: dato scioccante perché l’Italia ha salari più bassi di prima del ’90 quando non c’erano ancora i telefonini. In Germania e Francia sono saliti anche del 30%. Significa che le soluzioni individuate sinora non sono andate bene e che bisogna immaginare una strada nuova che è quella di puntare tutto sulla crescita economica. No al salario minimo, ma sì all’estensione della contrattazione collettiva. Il reddito di cittadinanza ha fallito gli obiettivi per cui era nato perché a monte c’è un errore: mettere nello stesso calderone chi poteva lavorare e chi non poteva lavorare, mettendo insieme politiche sociali e politiche attive del lavoro. Non ci devono essere lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. Chi merita la delega sindacale e chi no. Uno dei grandi temi sui quali possiamo provare a lavorare insieme è un sistema di ammortizzatori sociali universale che tuteli allo stesso modo chi perde il lavoro: sia esso un lavoratore autonomo, dipendente, o cosiddetto atipico. Dare a tutti le migliori garanzie possibili ma che siano le stesse. Garantire gli stessi diritti. Non garantire una cittadella di garantiti. Stiamo affrontando la glaciazione demografica, Per affrontare questo problema, penso che la sfida sia quella di un piano economico e culturale, imponente, per rilanciare la centralità della famiglia. L’obiettivo è partire dal sostegno al lavoro femminile, agli incentivi a chi assume donne e neo mamme; con strumenti di conciliazione casa-lavoro e una tassazione che torni a tenere conto alla composizione del nucleo familiare. Confido che nei prossimi anni possano anche aprirsi settori nuovi legati alle strategie anche industriali che stiamo creando. C’è stata una mancanza di visione in questo senso che ha frenato l’Italia e che ci ha legato troppo ad alcuni Paesi. Intendiamo invece trasformare l’Italia nell’hub di approvvigionamento energetico d’Europa, del Mediterraneo, con il piano Mattei che è un modello di collaborazione non predatoria e per aiutare i paesi africani a vivere bene. Il piano Mattei, assicura è la risposta più umana contro l’immigrazione. Se il nostro approccio è sincero, io posso imparare anche da chi è diverso da me. Senza pregiudizi e le vostre istanze riceveranno un ascolto serio».
E dopo le criticatissime convergenze tra alcune delle posizioni della Meloni e quella del sindacato, Landini, nel discorso di chiusura, ha cercato di coprirsi di nuovo a sinistra. Lo show della Meloni, salutato come un successo da tutti i commentatori politici, non è piaciuto a molti simpatizzanti di sinistra, ai quali Landini ha dato ‘i resti’ annunciando un futuro sciopero generale con le altre sigle e chiedendo alla premier di sciogliere le sigle neofasciste che avevano attaccato la sede della Cgil. Una sorta di ‘vendetta’ per le critiche incassate, quella di Landini, un tentativo maldestro di smarcarsi dalle accuse di eccessiva ‘vicinanza’ al governo di destra, non solo sul no al salario minimo. “Meloni ha confermato scelte che non condividiamo e su cui non hanno discusso con noi. Questo governo ti dice ‘sei importante’ ma anche che si può fare a meno di noi, ma noi dimostreremo il contrario non con le parole ma con i fatti della maggioranza dei lavoratori”, ha detto il leader della Cgil, chiudendo il XIX congresso. E per “vincere la battaglia” la Cgil si ripromette di non commettere un “errore di presunzione”: di pensare cioé “che quelli che non sono andati a votare o hanno votato a destra, improvvisamente non hanno capito niente. Perché in quanto sindacati noi le persone non le rappresentiamo per quello che hanno votato ma perché tutti hanno diritto di lavorare e vivere dignitosamente”. Nulla che possa intaccare “la storia della Cgil o la capacità del sindacato d costruire la sua credibilità”, rassicura la platea ribadendo come in ballo oggi ci sia appunto “la qualità della democrazia”. Abbiamo ascoltato le riflessioni del premier Meloni ma abbiamo registriamo diversità molto consistenti. Su quella base non c’è possibilità di confronto e discussione ed è evidente che sulle nostre richieste costruiremo una mobilitazione che non escluderà nulla neppure lo sciopero. Lo vogliamo fare insieme a Cisl e Uil, ne discuteremo la prossima settimana. C’è già un incontro fissato”, ha chiuso Landini annunciando il probabile sciopero generale unitario contro la delega sul fisco elaborata dal governo.
Landini accelera dunque la partita contro il governo sulla delega fiscale. Il giorno dopo l’intervento al congresso del premier Meloni che ha sostanzialmente confermato la linea dell’esecutivo contro cui da tempo il sindacato è in rotta di collisione, visibilmente più rilassato, in felpa rossa Cgil anche se l’emozione resta, rompe gli indugi e annuncia una mobilitazione, anche uno sciopero generale. E le agende parlerebbero di un incontro già mercoledì 22 al Cnel, nel corso di un convegno sugli artigiani o il 23 prima dell’incontro in Rai sul primo maggio. In ogni caso la risposta al governo arriverà in tempi brevi.
Lucia Annunziata sulla Stampa racconta un’altra versione: non quella del dialogo ma della chiusura totale, da parte del governo, alle istanze della Cgil. Ma deve anche dare conto di un altro fatto importante: ci dice che Meloni doveva entrare per ragioni di sicurezza da un ingresso laterale, che “il padrone di casa Landini in attesa all’ingresso B, per proteggerla non solo da rischi ma anche da folla, trambusto e curiosità”. Ma quando apprende “che si tratta dell’entrata laterale Giorgia Meloni chiede di passare dall’ingresso principale dove sa che era schierata la protesta dei peluche. Landini rifà l’accoglienza, e lei, tanto per essere chiari dice ai giornalisti «Non so che accoglienza aspettarmi in ogni caso penso che sia giusto esserci»”. Giorgia Meloni con il suo comportamento vuole mostrare che lei è sì la premier ma non rappresenta il “potere”, l’altro, il nemico dei lavoratori. Che viene da una storia di battaglie politiche alla pari dei sindacalisti Cgil. Che la sua partecipazione al congresso non è solo un atto di cortesia ma può inaugurare un nuovo clima. E si vedrà nel prosieguo se queste scelte saranno in grado di dare frutti.
Con Maurizio Landin non c’è il previsto veloce saluto. Dopo l’intervento di Meloni i due restano a colloquio per 40 minuti. Sul faccia a faccia aleggia lo spettro dello sciopero generale. Ovvio che la premier abbia tutto l’interesse a scongiurare tale prospettiva. Insomma, la politica si riprende la scena.