Nel maggio scorso, a Catania, in un comizio durante la campagna elettorale per le amministrative, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, gridava dal palco: «Non intendo sostituire un intollerante sistema di potere con un altro intollerante sistema di potere. Io voglio liberare la cultura italiana da un intollerante sistema di potere nel quale non potevi lavorare se non ti dichiaravi di una certa parte politica. Voglio un sistema meritocratico e plurale che dia spazio a tutti e che non funzioni in base alle tessere di partito». Aldilà di questo pio desiderio si risente per la politica governativa una palese insoddisfazione, che confina con la crisi elettorale, da parte del ceto medio sulla premier Giorgia Meloni, soprannominata ‘il tappeto volante’, visto che non riscontra valide considerazioni da parte dei grandi della terra che la calpestano politicamente, come è avvenuto col premier polacco che le chiuso la porta in faccia sui migranti.
E’ forse questo che gli italiani chiedono al Presidente del Consiglio? Il sociologo De Rita sostiene che la premier non ha l’ambizione di combattere la povertà e le diseguaglianze ma si occupa esclusivamente degli scontri con la magistratura, la Bce e altre sovrastrutture che sono lontane dagli italiani.
La plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo ha approvato la cosiddetta “legge sul ripristino della natura” respingendo la mozione di rigetto della posizione negoziale sul regolamento che era stata presentata dalla commissione Ambiente. Una legge “beffa”, che paralizza il settore dell’agricoltura e rischia di creare un effetto “recessivo” su tutto il mercato, nel nome dell’ecologismo di facciata. ‘È la più grande sconfitta di Manfred Weber’. Questa frase è stata ripetuta costantemente a Strasburgo. Perché il via libera del Parlamento europeo al testo “Nature” ha soprattutto assestato un colpo alla linea del presidente del Ppe e alla vagheggiata alleanza di destra tra i popolari e i Conservatori di Giorgia Meloni.
L’obiettivo di Giorgia Meloni è costruire una maggioranza come quella italiana, ovvero costruire in Europa una maggioranza che veda popolari e conservatori nella stessa coalizione. «È esattamente il “modello Meloni” a cui stiamo lavorando da tempo», spiega Carlo Fidanza, capo delegazione di Fratelli d’Italia a Strasburgo. Ma la seconda parte del ragionamento di Fidanza è più interessante: «Abbiamo numeri destinati a crescere ovunque, in ogni elezione nazionale svoltasi in Europa negli ultimi mesi il centrodestra ha vinto. È chiaro che l’asse popolari-socialisti non regge più e anche molti liberali sono insofferenti. Vedremo i numeri alla fine. Una cosa è certa: Giorgia Meloni, come capo del governo italiano e leader dei Conservatori europei sarà al tavolo da protagonista assoluta». Ecco il punto. Aspettare il voto. Vedere i numeri. E non rinunciare a giocare ogni partita per sedersi al tavolo di chi decide.
Questo dipinge la aspirazioni europee di Giorgia Meloni che, tornando in Italia, orfana di strategia politica, se ne esce con un bonus rattoppato, la “Carta dedicata a te“, nuovo strumento messo a disposizione dal governo per le famiglie maggiormente in difficoltà. “Il problema principale che ha impattato sulle famiglie italiane quest’anno è stato l’inflazione, un tema al quale il governo ha dedicato diverse misure”, ha detto il premier. Che ha fatto riferimento alle tante iniziative in campo: dal rafforzamento dei salari più bassi al taglio del cuneo contributivo e all’aumento della platea delle famiglie che potevano accedere al sostegno per pagare le bollette energetiche. L’ultima riguarda “quel milione e 300 mila famiglie che hanno maggiori difficoltà nell’acquisto dei generi di prima necessità, il famoso ‘caro carrello’”.
Si ciancia sull’aiuto ai poveri, si alza l’asticella dell’oracolo Isee ma il ceto medio impoverito è altro, è quello che continua pagare bollette intrise di rialzi, le rette di ogni genere, errori di pochi euro nelle dichiarazioni del 2016 o del 2017 tramutate in cartelle esattoriali di centinaia di euro, della serie il fisco combatte l’evasione raschiando il barile dei soliti noti, tra errori formali et similia, probabilmente nemmeno commessi, ma che è meglio pagare per non finire braccati.
Giorgia Meloni, la premier, ha un problema di classe dirigente e di egemonia culturale che abbia la capacità di far funzionare al meglio questa egemonia presunta, mentre emergono esclusivamente i casi Santanché e La Russa, con gli italiani che faticano a far marciare con etica i propri affari di impresa. Meloni, che viene dal popolo, da una famiglia che doveva tirare la cinta per andare avanti, come leader naturale doveva avere queste caratteristiche per elaborare qualcosa di più convincente.
Matteo Renzi, ex premier, sul Riformista scrive: “Alla Meloni non basteranno i discorsi in Parlamento: occorreranno riforme e tagli delle tasse. Sarà in grado? Questa è la domanda che a mezza bocca iniziano a farsi tutti gli addetti ai lavori. Mettiti al lavoro Giorgia. Ne va della tua credibilità e di quella del Paese”. Nelle righe di Renzi si intravede con chiarezza una chiara aria di insoddisfazione che promette tempesta.