Giorgia Meloni e super appalto per il gas in Libia

L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi ha firmato – sotto gli occhi del nostro Presidente del Consiglio e di quello libico Abdul Hamid Al-Dbeibah – un contratto da 8 miliardi di dollari per lo sviluppo delle «Strutture A&E». Il nome, abbastanza criptico, riguarda l’assegnazione di due lotti «off shore» al largo delle coste di Tripoli essenziali sia per aumentare la produzione di gas destinata al mercato interno libico, sia quella destinata all’esportazione in Italia ed Europa. Se l’abbraccio di Abdul Dbeibah, sorpreso dagli obiettivi a stringere le spalle di Giorgia Meloni, è l’immagine plastica del successo di una visita che riporta l’Italia sullo scenario libico il contratto siglato da De Scalzi e Farhat Bengdara – presidente della compagnia petrolifera libica (Noc) – ne rappresenta la controprova materiale. Il contratto per la messa in produzione dei due importanti giacimenti di gas sancisce il ridimensionamento dello scontro con la Turchia che rendeva problematica l’attività della nostra compagnia petrolifera. Ora, invece, Eni e Italia tornano a giocare un ruolo di primo piano su un fronte energetico reso cruciale dalla guerra in Ucraina. Ma il contratto, definito «storico» da Giorgia Meloni a Tripoli, apre anche la strada al progetto che punta a fare della Penisola un centro di distribuzione dell’energia acquisita dall’Africa. Un ruolo favorito da «Green Stream» la conduttura Eni che porta direttamente a Gela il gas libico e soddisfava, fino a qualche anno fa, il 12 per cento del nostro fabbisogno italiano. Una percentuale precipitata negli ultimi anni al 3 per cento. «Green Stream – ricorda la Meloni – è uno strumento fondamentale per le fonti di approvvigionamento di gas. L’Italia vuole essere hub per intera Europa e la Libia è un partner fondamentale». Se i nuovi progetti off-shore sono il simbolo concreto del successo di questa missione altrettanto importanti sono, in prospettiva, il controllo dei flussi migratori e il ritorno del nostro paese ad un ruolo di primo piano nel processo di stabilizzazione della Libia. Due obbiettivi confermati dalla presenza a fianco di Giorgia Meloni del ministro degli Esteri Antonio Tajani e da quello degli interni Matteo Piantedosi. E così mentre Tajani annuncia un memorandum d’intesa «per la consegna di cinque vedette finanziate dall’Ue» alla Guardia Costiera libica la Meloni sottolinea l’importanza di rilanciare la collaborazione nella lotta al traffico di uomini. «Nonostante gli sforzi i numeri delle migrazioni irregolari dalla Libia verso l’Italia sono ancora alti» – ricorda la Presidente del Consiglio sottolineando come oltre il 50 per cento degli sbarchi dalla Libia riguardi migranti irregolari. Ma la premier rimarca anche la necessità di un maggior impegno dell’Europa nella collaborazione con le nazioni africane. Per la Meloni quella collaborazione rappresenta il «modo più strutturale per affrontare il tema delle migrazioni aiutando quelle nazioni a crescere e prosperare». Ma per la premier il ridimensionamento dell’emergenza migratoria esige anche un maggior impegno di Bruxelles chiamata a garantire i rimpatri dalla Libia attraverso impegni di cooperazione con i paesi africani d’origine. Sullo stesso tema Piantedosi annuncia «importanti propositi di collaborazione» con Tripoli per la «gestione dei flussi migratori, della lotta al terrorismo e del contrasto al narcotraffico». Impegni destinati a dar vita ad una task force congiunta che si riunirà prossimamente a Roma. Il terzo tema centrale della visita riguarda il ruolo dell’Italia nel processo di stabilizzazione di una Libia ancora divisa tra Tripolitania e Cirenaica. Una Cirenaica dove le milizie di Khalifa Haftar convivono con i mercenari russi della Wagner mentre la leadership resta nelle mani del governo – non riconosciuto internazionalmente – dell’ex- ministro dell’interno Fathi Bashaga. Un esecutivo a cui la delegazione italiana, a differenza di quanto avveniva in passato, non ha ritenuto utile far visita. Giorgia Meloni ha però ricordato «la piena disponibilità italiana e favorire il legittimo percorso per la celebrazione delle elezioni e la stabilizzazione del quadro politico libico». Dunque un’Italia pronta a far da mediatore e negoziatore tra le parti per definire, assieme all’Onu, un percorso che fissi non solo la data delle elezioni, ma accordi precisi per la stesura di una Costituzione e lo svolgimento del voto. Fasi che prenderanno il via a Washington a metà febbraio e in cui l’Italia dovrà dimostrarsi pronta a rimettere piede sulla perduta «quarta sponda».

La pacificazione della Libia, con le ingerenze russe e una guerra civile che va avanti da anni, per Meloni «è prioritaria». Per questo il governo italiano sostiene la mediazione dell’Onu affinché si celebrino «quanto prima» le elezioni presidenziali e parlamentari. E, come aveva fatto Tajani ad Ankara e Il Cairo, la premier «ha condiviso le preoccupazioni dell’Onu per lo stallo dei negoziati in corso», riferisce una fonte di governo, sollecitando al tempo stesso l’inviato speciale delle Nazioni unite, Abdoulaye Bathily, a «stilare e finalizzare una tabella di marcia, che sia sostenuta con convinzione dalla comunità internazionale». In sintesi, Meloni ha lanciato «un patto per la sovranità della Libia» e la fine della guerra tra Tripoli e il generale Khalifa Haftar. Da parte sua Dbeibah, che ha parlato di «forte amicizia» tra Italia e Libia, ha garantito che il governo di unità nazionale libico è disponibile a «sostenere gli sforzi dell’Onu» e ha assicurato l’impegno «per superare la fase di transizione verso la stabilità del Paese attraverso un processo elettorale trasparente e onesto».

Non poteva mancare, tra i temi dei colloqui, la famosa autostrada promessa da Silvio Berlusconi a Gheddafi. E Meloni ha messo a verbale: «La Libia è un mercato strategico per le nostre aziende, vale per l’energia, ma anche nel campo delle infrastrutture. Ci impegniamo a portare avanti il progetto dell’autostrada e intendiamo iniziare prima possibile i lavori sull’aeroporto internazionale di Tripoli».

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