Giorgia Meloni at the headquarters of the Brothers of Italy (Fratelli d'Italia) in Rome, Italy, 26 September 2022. ANSA/ETTORE FERRARI

Giorgia Meloni, premier in pectore, e la ‘grana’ Salvini

‘’Il centrodestra unito ha vinto le elezioni ed è pronto a governare. Basta mistificazioni”. Così Giorgia Meloni dopo l’incontro con Matteo Salvini.

Il segretario del Carroccio avrebbe posto un ultimatum all’alleata: o il Viminale spetterà a lui oppure la Lega potrebbe persino sfilarsi e puntare su un appoggio esterno al governo che sorgerà.

L’articolo 94 della costituzione italiana sancisce che il governo debba ricevere la fiducia delle due camere. Ciò implica che, sia alla camera che al senato, la maggioranza dei parlamentari sia disposta a votare a favore dei provvedimenti proposti dall’esecutivo. A sostenere il governo sono, in primo luogo, i gruppi che hanno membri nell’esecutivo (ministri o sottosegretari), e ciò comporta una facile distinzione tra chi è in maggioranza (gruppi con membri nell’esecutivo) e chi no (i gruppi di opposizione). Tale polarizzazione però può avere delle sfumature intermedie.

L’appoggio esterno è la situazione in cui una forza politica, pur non avendo propri membri al governo, vota comunque la fiducia all’esecutivo. Specialmente in legislature con governi di coalizione, può succedere che alcuni gruppi parlamentari diano un appoggio esterno all’esecutivo, sostenendolo anche senza farne parte. Ciò può avvenire in due modi. Il primo caso, quello più comune, è un appoggio esterno diretto. Alcuni gruppi parlamentari, pur non avendo membri nella squadra di governo, possono decidere di sostenere l’esecutivo votando a favore dei provvedimenti da esso presentati. Il secondo caso invece è un appoggio esterno indiretto, che comporta o l’astensione o l’assenza dall’aula al momento del voto. Quest’ultimo caso è quello più interessante. La soglia di maggioranza per l’approvazione di un atto può infatti variare a seconda del numero di presenti. Se generalmente è di 316 deputati e 158 senatori (161 considerando gli attuali senatori a vita), questo target può abbassarsi  se ci sono assenze fra i parlamentari. Decidendo di uscire dall’aula, i gruppi in appoggio esterno indiretto facilitano il lavoro del governo, e quindi l’approvazione dell’atto.

L’appoggio esterno al governo ha delle conseguenze dirette sulla chiarezza dei processi politici. L’esigenza di sapere con chiarezza chi è al governo e chi no, permette ai cittadini di assegnare la responsabilità politica per le decisioni che vengono prese dal governo e dal parlamento. Questa dinamica si lega a un altro tema, quello dei cambi di gruppo. Molto spesso i gruppi di appoggio esterno al governo nascono in corso di legislatura, e non è detto che si presentino alla successiva tornata elettorale. Questo comporta l’impossibilità per i cittadini di giudicare elettoralmente le realtà che con il loro appoggio esterno (diretto o indiretto) hanno contribuito alla sopravvivenza del governo e all’approvazione di riforme chiave.

Non è un mistero che il leader leghista voglia tornare al Viminale. “Ci vuole qualcuno che torni a difendere e proteggere confini, leggi, forze dell’ordine e sicurezza in Italia. Qualche idea ce l’abbiamo”, ha ribadito il segretario del Carroccio nelle scorse ore. Meloni, a proposito di affidare il ministero dell’Interno all’alleato, è piuttosto guardinga.

La nota finale dell’incontro tra i due leader ha recitato quanto segue: “Il colloquio si è svolto in un clima di grande collaborazione e unità di intenti” e “entrambi i leader hanno ribadito il grande senso di responsabilità” che la vittoria alle elezioni comporta. Una dichiarazione tesa a smorzare eventuali polemiche e ad assicurare che il clima nel centrodestra è sereno.

Lungo la serata di mercoledì 28 settembre, fonti ufficiali di FdI, come raccontato dal Corriere della Sera, hanno comunicato che “non si è parlato né oggi e né in questi giorni di nomi, incarichi, attribuzioni di deleghe né separazioni di ministeri e sono prive di fondamento retroscena di stampa su presunti veti, così come le notizie già smentite da Palazzo Chigi su un “patto” Meloni-Draghi“.

Al momento non si è ancora parlato nel dettaglio dei ruoli chiave dell’esecutivo che verrà. Tuttavia pare che un paletto sia già stato piantato dalla Lega. Sia in Forza Italia che in Fratelli d’Italia si racconta di “messaggi” recapitati dagli sherpa leghisti agli omologhi dei due partiti con tono perentorio: se a Salvini non sarà dato il Viminale, il partito potrebbe limitarsi all’appoggio esterno.

Giorgia Meloni  che non vedrebbe di buon occhio l’insediamento di Salvini al ministero dell’Interno per via dei suoi precedenti al Viminale (il processo Open Arms è in corso) e per via della sua ‘iperattività’ politica. Creerebbe “un caso al giorno, mentre la Meloni “vuole un governo serio e inattaccabile sotto ogni profilo, in casa e all’estero”, hanno riferito da FdI, sempre come riportato dal CorSera.

«Difendere i confini», missione per chi non potrà fare il ministro dell’Interno ma che probabilmente sarà un «ministro ombra» che veglierà sul Viminale, dove potrebbe finire il suo il capo di gabinetto Matteo Piantedosi, molto apprezzato dal capo leghista quando era titolare dell’Interno nel Conte 1.

Salvini può emergere dal compromesso di via Bellerio dove è stato confermato leader ma anche criticato per via di quello striminzito 8% di domenica contro il 34% delle Europee di tre anni fa.

Ma non ci aspetta nessuna rivoluzione dalla premier in pectore, nessuna “decisione irrevocabile”, nessuna svolta storica, anche perché lei sa che al Senato, per dire, ha 113 seggi, solo 13 in più per fare maggioranza: basta poco per andare sotto in qualche votazione. Con questi numeri a occhio e croce la rivoluzione è rinviata a data da destinarsi.

Altro passo cruciale sarà l’incontro che a breve avranno Meloni e Berlusconi.

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