Giornalismo killer di Sigfrido Ranucci su Antonella Giuli, sorella del ministro

Si può costringere una donna, una madre, una professionista che gode della stima dei suoi datori di lavoro a rivelare la verità dolente di una vita privata funestata dalla malattia d’un bambino di 7 anni irreversibilmente malato? In Italia, oggi, evidentemente sì. E vengo al punto”. Antonella Giuli, sorella del ministro della Cultura Alessandro, replica alle anticipazioni del programma di Rai Tre Report sul servizio, dedicato a lei, andato in onda, con un lungo servizio dedicato a lei, dopo quello della settimana scorsa confezionato contro il fratello Alessandro, con denunce-fuffa e figuracce mediatiche per le ovvietà svelate e vendute come scoop. La trasmissione di Sigfrido Ranucci accusa la giornalista di lavorare per Fratelli d’Italia, pur essendo stata assunta alla Camera. In una lettera pubblica però Antonella Giuli smentisce le accuse. E si difende.

Report accusa Antonella Giuli, lei replica indignata

“Preceduto dalla grancassa mediatica e intimidatoria affidata a un sito di gossip, la trasmissione ‘Report’ di Sigrifido Ranucci si appresta a mandare in onda un servizio nel quale verrebbe costruito un teorema che reputo per lo meno manipolatorio, se non pure falso e diffamante: Antonella Giuli, la sottoscritta, ‘ci risulta lavora per Fratelli d’Italia e che in ufficio non ci va mai’; in più, durante il fine settimana, lavorerebbe per Fratelli d’Italia in palese conflitto con le regole cui è sottoposta per contratto. Proprio così afferma l’inviato di ‘Report’ Giorgio Mottola – ‘ci risulta che lei lavora per Fratelli d’Italia e che in ufficio non ci va mai’ – incalzandomi all’uscita dalla Camera dei deputati, presso la cui Presidenza lavoro in qualità di addetta stampa, assieme ad altri colleghi. Sottotraccia, ma non poi troppo, la tesi di ‘Report’ è forse che io diserti il mio posto di lavoro per mettermi al servizio di Arianna Meloni, cui mi lega un rapporto limpido e pubblico di amicizia personale, fondato (perché negarlo?) su un passato di comune militanza nella destra partitica italiana e testimoniato da scatti fotografici e riprese video delle quali non mi vergogno, anzi” rimarca la sorella del ministro della Cultura.

Il metodo è antico. È la cultura della faida, quando al nemico non va lasciato quartiere. Non è più umano. È da abbattere, in qualsiasi modo. Non lo riconosci. Non lo legittimi. Non può esserci un punto d’incontro: o si inginocchia o l’offensiva sarà senza redenzione.

Il dovere degli sconfitti è usare ogni mezzo per delegittimare l’avversario e poi portarlo alla resa senza neppure passare dal Parlamento. L’arma di questa faida politica è lo scandalo, giudiziario e morale. Qualcosa si trova sempre, e va bene, ma se non è abbastanza allora bisogna puntare l’obiettivo e non lasciargli tregua. Cosa succede se però l’affondo non è abbastanza efficace? Si allarga il cerchio. Tocca ai familiari. È quello che sta accadendo con il ministro della Cultura,  Alessandro Giuli.   L’inchiesta di Report, prestigioso programma di inchieste televisive, sembra non averlo scalfito. Ha avuto più che altro il sapore di un avvertimento, troppo poco per mettergli pressione. Giuli in fondo sapeva che una volta accettato l’incarico non avrebbe avuto pace. Si può perfino dire che fa parte del gioco. Quel ministero appare come uno dei punti deboli del governo. Si va lì per cercare il doppio colpo, dopo Sangiuliano si balla con Giuli. L’attacco però non ha fatto abbastanza rumore. Cosa può davvero destabilizzare il ministro? Cosa può fare più male? Giuli è molto legato alla sorella. Basta questo. Ti diranno che non è vero. Quella di Report su Antonella Giuli è solo un’inchiesta giornalistica. C’è il sospetto che lei da ufficio stampa della Camera dei Deputati lavori sotto sotto per il partito, per Fratelli d’Italia, per Arianna Meloni. Eccolo, lo scandalo. Cosa fa la sorella del ministro il sabato e la domenica? Antonella Giuli deve raccontare una questione privata che non avrebbe voluto rendere pubblica. Uno dei suoi due figli ha una «patologia curabile ma non guaribile». E fa una domanda: «Era necessario che mi spingessi a tanto?». Forse Sigfrido Ranucci ha una risposta. Il sospetto, al di là del lavoro da giornalista, è che lui si senta dalla parte dei giusti e dei buoni. È un po’ come accadeva con i padri domenicani della Santa Inquisizione. È l’etica superiore che assolve da tutti i peccati. Le faide spesso sono una questione di fede.

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