In Parlamento si sta valutando di istituire la «Giornata delle vittime di errori giudiziari» e farla coincidere con la data dell’arresto di Tortora, il 17 giugno. Ascoltato in Commissione Giustizia sul tema, il segretario dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, ha espresso dubbi sia sulla giornata sia sulla data, in quanto «genererebbe sfiducia nei nostri confronti da parte dell’opinione pubblica».
Quel 17 giugno del 1983, giorno in cui Enzo Tortora appena arrestato venne mostrato a favore di telecamere con le manette ai polsi, deve invece giustamente diventare il «giorno della vergogna» per tre motivi. Il primo è il fatto in sé; il secondo è che nessuno negli anni successivi ha mai chiesto scusa a lui e agli italiani; il terzo, per certi versi ancora più grave, è che i pm e i giudici di quel processo hanno fatto tutti una brillante carriera nonostante la loro incapacità o malafede fosse stata definitivamente smascherata.
Secondo loro gli italiani non dovrebbero soffermarsi a riflettere sul fatto che ogni anno fonte l’Autorità garante dei detenuti 960 innocenti finiscono in carcere, una media di tre al giorno. E che ogni anno, negli ultimi trenta, sette persone vengono condannate ingiustamente in modo definitivo, come poi a fatica riconosciuto dallo Stato. E parliamo appunto solo degli errori talmente grossolani da dover essere in qualche modo sanati anche con importanti risarcimenti economici.
Un insulto ai mille innocenti che ogni anno in Italia finiscono in carcere, e al simbolo di tutti loro, Enzo Tortora, che di ingiustizia è anche morto.
È quel che è accaduto alla commissione giustizia della Camera, chiamata a votare l’istituzione di una giornata che ricordi ogni anno quelle mille vittime nel giorno in cui fu arrestato Enzo Tortora, il 17 giugno. Quello è stato il momento che ha inaugurato, insieme all’ingiustizia, il circo mediatico-giudiziario. Con il giornalista-presentatore buttato in pasto ai fotografi, sgomento, in manette.
Ventiquattro ore dopo che nessun esponente del Pd – dopo il voto di astensione – si era degnato neppure di farle una telefonata, Gaia Tortora fa sentire la propria voce, alta e piena di dignità. “Toglietevi il nome di mio padre dalla bocca”, ingiunge agli esponenti del Pd. “Loro sono il Pd e al massimo la principale preoccupazione è non dare troppo fastidio a certa magistratura”.
Il caso Tortora non rappresenterebbe un errore giudiziario perché non c’è stata una revisione del processo e inoltre Enzo era stato condannato in primo grado. Spiegatemi voi, ha detto Gaia, se non è stato un errore, che cosa è. Le voci dissonante, e anche questo non è nuovo, che si alzano da sinistra sono quelle di Filippo Sensi, che ha invitato a “prendere nota” di quel che dice Gaia Tortora quando parla e a fare “un passo avanti” per ricordare in modo adeguato chi “è stato ingiustamente messo in croce” e dell’altra dem Lia Quartapelle: “La memoria di Enzo Tortora, e delle altre vittime di errori giudiziari, merita rispetto non tentennamenti. Spero che il mio partito possa discutere della proposta e riveda l’astensione”. Sarà difficile che vengano ascoltati anche perché il Pd, e non parliamo di Avs, vive da tempo acquattato sotto le toghe. Senza provare rossore per quel che ha detto il loro capo del sindacato Giuseppe Santalucia sul timore che il ricordo di Tortora generi sfiducia dei cittadini nei confronti della magistratura, come se questa non fosse già sotto zero.
Una dichiarazione che meriterebbe l’attenzione della sezione disciplinare del Csm.