La carcerazione preventiva di una persona è esclusa dalla Costituzione italiana. Precisamente dall’articolo 13, che ammette l’arresto in assenza di condanna solo per casi gravi stabiliti dalla legge. Diciamo: in casi straordinari. La legge ammette l’arresto prima del processo solo se c’è il rischio di fuga (ma ormai questo rischio praticamente è inesistente) o di inquinamento delle prove (ma in questo caso l’arresto dovrebbe limitarsi a pochi giorni) o se c’è il rischio di ripetizione del reato. Non bisogna laurearsi in giurisprudenza né in filosofia per capire che la questione è solo in quella domanda: in presenza di indizi di colpevolezza molto gravi (e solo in questo caso) esiste o no il rischio che l’imputato commetta nuovi delitti analoghi a quello per il quale è sotto inchiesta?
Dalla vicenda Toti si può capire una cosa evidente: pezzi importanti della magistratura, in particolare delle Procure, ritengono qualunque reato che riguardi i politici molto più grave degli altri reati. E così succede che un traffico di influenze o un voto di scambio è considerato un reato più pesante e infamante di un reato come ad esempio lo stupro (se lo stupratore fa parte della società alta è molto difficile che sia arrestato) o di delitti che comportano la morte della vittima (specie se la vittima è un immigrato irregolare). Non a caso in questi anni a Latina si sono svolti e conclusi molti processi contro i politici (la maggioranza assolti) mentre è rimasta ferma l’indagine per caporalato. (Tradotto, vuol dire: il nostro compito è bastonare i politici, e delle eventuali sopraffazioni sugli immigrati ce ne possiamo anche fregare: quelli sono negri o qualcosa di simile).
L’accusa principale contro Toti (rimbalzata in tutti talk show) è di essere andato a parlare con l’imprenditore Spinelli su uno yacht. Il reato consiste nella violazione delle norme dello “Stato etico”.
Se ti dimetti, ti libero. Il giudice per le indagini preliminari, Paola Faggioni, lo ha scritto senza mezzi termini. È la motivazione principale, anzi la sola, per la quale la toga del tribunale di Genova, figlia di una ex consigliera comunale della Margherita e del Pd, ha revocato gli arresti domiciliari a Matteo Cozzani, ex capo di gabinetto del governatore della Liguria, Giovanni Toti. «Le intervenute dimissioni e il comportamento serbato dall’indagato» si legge nel provvedimento, «sono elementi favorevoli che fanno ritenere che le esigenze cautelari, sia pure ancora presenti, siano ridimensionate». Così la gip si è discostata, per la prima volta in questa inchiesta, dalle indicazioni della Procura, che pure voleva Cozzani ancora ai domiciliari, dove al momento resta ormai solo in forza di un provvedimento del tribunale di La Spezia, contro cui il suo avvocato presto ricorrerà.
Non si può non leggere questa decisione come legata al destino di Toti, che di Cozzani era il capo. Il governatore non si è arreso agli avvisi di garanzia e alle misure restrittive della propria libertà, quindi Procura e gip l’hanno lasciato agli arresti.
Il suo legale, Stefano Savi, ha presentato ricorso per la scarcerazione al Tribunale del Riesame. Si deciderà tra una decina di giorni e il Tribunale del Riesame potrà anche respingere la richiesta di libertà del suo avvocato praticando una grande forzatura dei presupposti di legge.
La domanda di libertà è formulata chiaramente. Per quanto riguarda il rischio di reiterazione del reato infatti, Toti a parte, tutti i protagonisti dell’indagine non rivestono più il loro ruolo. L’ex presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Emilio Signorini, è scaduto mesi fa ed è stato anche licenziato da Iren, la società di servizi di cui era diventato amministratore. Dell’ex capo di gabinetto, Cozzani, si è detto; in più, è stato allontanato dalla Regione anche tutto il personale del suo ufficio. La famiglia Spinelli è interdetta da ogni esercizio di impresa, come pure il consigliere d’amministrazione di Esselunga, Francesco Moncada, peraltro dimissionario. Solo Toti resta al suo posto, in virtù del fatto che ricopre una carica elettiva e che le sue dimissioni significherebbero l’attribuzione di fatto alla procura del potere di decidere chi può governare una regione e chi no in base ad avvisi di garanzia e misure di interdizione, senza che intervenga una condanna e, nel caso di specie, senza neppure che ancora sia stato aperto un processo.
Se dalle persone si passa agli enti, il quadro non cambia. L’Autorità Portuale è stata commissariata ed entrambe le personalità scelte non sono in rapporti con Toti. Quanto ad Esselunga, dopo l’approvazione da parte della giunta regionale dell’ultima apertura, il mese scorso, con il governatore già agli arresti, non ha più iniziative e progetti al vaglio dell’amministrazione.
Il rischio di corruzione elettorale infine, senza voti all’orizzonte e con il prossimo appuntamento, le Regionali dell’autunno 2025, al quale Toti non potrà presentarsi, è lontano non solo nel tempo ma anche dalla realtà pratica. Il ricorso di Savi smonta anche l’ipotesi di pericolo di inquinamento delle prove, giacché tutti i testimoni e gli indagati sono già stati ascoltati dagli inquirenti, così come tutte le prove documentali sono agli atti dell’inchiesta.
Toti, in sede di interrogatorio, non ha contestato la ricostruzione dei fatti, e quindi è assurdo pensare che, una volta libero, agirà per alterarla.
Tenere l’indagato Toti agli arresti ha sempre più il sapore di un atto politico, una pre-condanna, piuttosto che di un passaggio irrinunciabile dell’inchiesta.
A questo punto i pm dovrebbero tirarlo fuori. Altrimenti restiamo nel campo delle accuse presuntive e degli arresti firmati per indurre alle dimissioni e non alla chiarezza probatoria.