Giustizia e politica, cosa resta dopo lo scontro

Se Renzi dice che il governo ed i partiti attendono le sentenze, sarebbe lecito, però, dal governo e dal Parlamento attendersi le leggi, quantomeno quelle annunciate. Parlare per slogan può risultare vincente, mediaticamente efficace, ma a volte può giocare brutti scherzi.Soprattutto quando si affrontano questioni complesse, come i rapporti tra politici e giustizia.Dire che”i politici non hanno smesso di rubare, ma di vergognarsi” non spiega nulla di come il fenomeno della corruzione abbia assunto connotati sempre più sofisticati, ma fa effetto, tanto più che a dirlo è stato il neoeletto presidente dell’ANM, Pier Camillo Davigo, il giorno dopo che il Premier ha dichiarato” Noi vogliamo che i magistrati parlino con le sentenze”.Altra frase che non aiuta l’analisi della realtà ed ostacola il confronto perché spesso le sentenze in un processo dipendono da fattori e valutazioni indipendenti dai fatti emersi, e la selezione della classe dirigente non può essere legata solo al casellario giudiziario. Sarebbe l’ennesima,sbagliata, delega affidata dalla politica alla magistratura.L’ultimo capitolo dell’annoso conflitto tra chi governa e chi giudica risente della mancanza di chiarezza e semplificazione dei loro messaggi e, con due comunicatori di professione, quali Renzi e Davigo, il rischio di continuare su questa strada è altissimo. E porta con sé la certezza che una volta calmatasi la polemica, resti tutto come prima. Che il malaffare legato alla gestione della cosa pubblica, sia un’emergenza nazionale, è un fatto incontrovertibile, tant’è che lo stesso Renzi l’ha riconosciuto e per arginare il fenomeno, ha chiamato alla guida dell’Autorità Anticorruzione un noto magistrato come Cantone e, a lui si è rivolto ogni volta che la politica è stata attraversata dagli scandali. Dall’Expo di Milano, al Mose di Venezia, all’inchiesta” Mafia Capitale”. Ora, se Governo e Parlamento sono riusciti a fare qualcosa per aumentare prevenzione e repressione, è evidente che il fenomeno è lontano dall’essere sconfitto e, quindi, passare il tempo ad accusarsi reciprocamente( politica e magistratura) di non voler fare le leggi perché i ladri stanno in Parlamento e di non sapere applicare le leggi perché troppo impegnati in campagne propagantistiche, non porta da nessuna parte, a nessun risultato e non serve a nessuno. Tantomeno ai cittadini che della corruzione pagano il prezzo più alto in termini di aumento della spesa pubblica, e servizi scadenti.Per scoprire questo genere di reati, definiti sommersi perché non conviene a nessuno denunciarli, occorrono le intercettazioni: ora pare che l’intervento più urgente sia diventato limitare o impedire la loro diffusione sui mezzi d’informazione. Ma le circolari di alcuni procuratori dimostrano che non serve una nuova norma per adottare contromisure di buon senso. In ogni caso il dibattito sugli eccessi non deve certamente oscurare le pratiche corruttive( anche se da accertare) o gli episodi di malcostume, anche se penalmente non rilevanti, che emergono dalle indagini. Da ciò ne deriva che se da una parte la politica chiede ai giudici di fare le sentenze, dall’altra la politica non si può sottrarre al dovere di fare leggi che migliorino la situazione, almeno quelle annunciate.

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