Global Tax: mano tesa Ue agli Usa, restano i ‘ribelli’

L’Unione europea ha deciso di sospendere il proprio lavoro sulla digital tax per lavorare alla proposta emersa dall’ultimo G20 in collaborazione con l’OCSE, in modo da arrivare entro ottobre un accordo completo sulla tassazione minima globale. La conferma è arrivata sia da un portavoce della Commissione Ue sia dal Commissario per gli Affari economici, Paolo Gentiloni. Si tratta di una mano tesa all’alleato statunitense che per il raggiungimento dell’accordo Venezia si era speso molto negli ultimi mesi e che ha già pronto un programma di dazi verso le singole giurisdizioni che hanno deciso in proprio di avviare un tassazione sulle Big Tech.

“Il G20 ha sottoscritto questo fine settimana a Venezia uno storico accordo per creare un sistema fiscale internazionale più stabile ed equo, che affronti le sfide della tassazione derivanti dalla digitalizzazione dell’economia. Questo è stato un risultato straordinario dopo anni di negoziati e per il quale la Commissione ha lavorato instancabilmente”, ha spiegato il portavoce Ue. L’intesa, in sintesi, prevede che tutte le grandi compagnie dovranno pagare una tassa minima del 15% e dovranno pagare le imposte nei Paesi dove vendono prodotti e servizi.

“Ho informato Janet Yellen (la segretaria al Tesoro Usa) della nostra decisione di mettere in pausa la proposta della Commissione di una tassa sulle aziende digitali”, ha aggiunto successivamente Gentiloni. A motivare la decisione c’è infatti la volontà di “lavorare fianco a fianco all’ultimo miglio di questo accordo storico” sulla tassazione globale delle società, ha spiegato sottolineando il successo dell’incontro con Yellen con cui ha discusso anche di coordinamento delle politiche di risposta alla pandemia, di contrasto al cambiamento climatico e di vaccinazione a livello globale. Un’intesa nata – ha concluso il Commissario Ue, “per mettere fine alla corsa al ribasso e per ricollocare i diritti di tassazione dove i profitti vengono prodotti”.

In Europa però non tutti i Paesi membri dell’Ue hanno mostrato la loro adesione all’accordo di Venezia. Estonia, Irlanda e Ungheria, infatti, sono i paesi “ribelli” che hanno già a più riprese sottolineato la loro ferma opposizione alla global minimum tax. Far cambiare loro idea è tra gli obiettivi della visita di Yanet Yellen a Bruxelles dove ha in programma di incontrare i Paesi dell’Eurogruppo, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e la presidente della BCE, Christine Lagarde. “Spiegherò che la minimum tax conviene a tutti”, ha dichiarato la segretaria del tesoro Usa lunedì mattina nella conferenza stampa di chiusura del summit veneziano.

Le motivazione del no alla tassazione minima globale e alla digital tax dei tre Paese sono assai diverse. Se l’Irlanda deve il suo successo economico a un regime fiscale molto favorevole per le società – sull’isola le multinazionali non pagano aliquote superiori al 12,5% – per l’Ungheria la questione è anche ideologica. “È assurdo che un’organizzazione internazionale, come l’OCSE, si arroghi il diritto di dire all’Ungheria quali tasse imporre e quali no”, ha dichiarato il leader ungherese Orban. Ancora differente è la posizione dell’Estonia, che da anni guida le classifiche di competitività e rappresenta un vero esempio di società digitale: qui le aliquote delle tasse corporate sono tra il 14 e il 20% e se da un lato potrebbe accettare la global tax, dall’altro non vuole intromissioni.

Nonostante le profonde differenze che motivano i “no” dei tre Paesi, in ambito europeo le questioni fiscali vanno approvate alla unanimità e basterebbe un veto di uno dei tre Paese al momento dell’approvazione Ue del protocollo della global tax per far saltare tutto. Estonia, Irlanda e Ungheria non sono però gli unici nodi da sciogliere per arrivare a definire ad una tassazione minima globale. L’intesa OCSE delle settimane scorse era stata firmata da 130 paesi su 139: si sono mostrati scettici infatti anche paradisi fiscali come le Barbados, Saint Vincent e le Grenadine, così come grandi stati come la Nigeria e il Perù e il Kenya.

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