Golden Globes e i premi tra le polemiche

Vincerà “Mank” o “Nomadland”? “Promising Young Woman”, “The Father” o “The Trial of the Chicago 7”? Con Amy Pohler e Tina Fay a fare gli onori di casa (Amy a Los Angeles e Tina dalla Rainbow Room di New York) e i figli di Spike Lee nel ruolo di “ambasciatori”, i Golden Globes andati in onda domenica sera sulla Nbc con un formato ibrido, virtuale e “live”. Con due settimane di anticipo sull’annuncio, il 15 marzo, delle nomination degli Oscar, i premi per il miglior cinema e la migliore tv attribuiti annualmente dai membri della Hollywood Foreign Press, sono da tempo considerati i cugini più frivoli degli Academy Awards – o come il comico britannico Ricky Gervais disse durante la cerimonia del 2012: “Quello che Kim Kardashian è rispetto a Kate Middleton”.

Polemiche non sono mancate in passato.

Quest’anno non c’è solo la pandemia a fare ombra alla serata con un’audience prevista di 18-20 milioni di spettatori: oltre a piangere la scomparsa del presidente Lorenzo Soria, ucciso dal cancro la scorsa estate, l’Hfpa deve fare i conti con le accuse del Los Angeles Times di essere una “casta” facilmente influenzabile dagli studi e pronta a elargire lauti compensi ai suoi membri in barba allo status non profit dell’organizzazione. Non è l’unica controversia sollevata dal quotidiano della città di Hollywood che fa notare come tra gli 87 membri della Hfpa non ci sia un solo afroamericano. L’anacronismo fa da contrappunto al fatto che nessuno dei potenziali candidati agli Oscar per il miglior film drammatico con un cast di colore sia entrato nella cinquina: tra gli esclusi, “One Night in Miami” di Regina King (che ha tre nomination in altre categorie)” e “Ma Rainey’s Black Bottom” (due), mentre “Da 5 Bloods” di Lee è stato totalmente tagliato fuori. Praticamente scontato invece un Globo d’oro a Chadwick Boseman per “Ma Rainey”, la sua ultima interpretazione: sarebbe il primo premio postumo dopo quello a Peter Finch per “Quinto Potere”.

I Globes 2021 hanno comunque fatto la storia all’insegna dell’inclusione. Con Chloe Zhao (“Nomadland”) e Emerald Fennell (“Promising Young Woman”), la King è una delle tre donne registe candidate: già in sé un record, e se una di loro dovesse vincere sarebbe una prima volta. “Mank”, il film di David Fincher sulla creazione di “Quarto Potere”, guida le cinquine con sei candidature tra cui quella per il miglior film drammatico, alla pari, per la tv, della serie della Bbc “The Crown”. Tanti britannici tra cui Olivia Colman, Emma Corrin e Josh O’Connor (rispettivamente la regina, Lady Di e il principe Carlo) e Daisy Edgar Jones, la tormentata teen-ager della miniserie “Normal People”. E poi Riz Ahmed (“Sound of Metal), Anthony Hopkins (“The Father”) e Gary Oldman (“Mank”). Sasha Baron Cohen corre da attore per “Trial of the Chicago 7” ma anche per “Borat Subsequent Moviefilm” nella categoria del miglior film comico. Per l’Italia “La vita davanti a sé” di Edoardo Ponti ha ottenuto due candidature: gareggerà come miglior film in lingua straniera e per “Io sì/Seen” cantata da Laura Pausini e frutto della collaborazione con Diane Warren e Niccolò Agliardi. Fuori gara invece Sophia Loren, con Meryl Streep di “The Prom” una delle grandi escluse dalle cinquine.

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